I bambini in difficoltà si nascondono dietro mamma e papà. I governi dietro i presidenti della Repubblica e i giudici di costituzionalità. Accade per le unioni civili. Una maggioranza malmessa è in affanno. È in difficoltà lo stesso premier, che più volte ha certificato il problema come risolto. Evidentemente scambiando l’assertività dei tweet con i risultati. Partono allora in soccorso commentatori autorevoli e autorevolissimi. Uguali sì, ma non troppo, simili, certo, ma senza esagerare. 2Meno male che almeno il Quirinale non conferma i dubbi del Presidente sul ddl Cirinnà. Ne siamo lieti, anche se la domanda rimane su chi, come e perché abbia messo in giro quelle voci, e se il Quirinale ne fosse consapevole.

La politica, alla fine, non vive solo di dichiarazioni. E qui impatta su una sentenza della Corte costituzionale (138/2010). Ho già scritto su queste pagine che la Corte non rese un buon servizio a sé stessa e alla Carta fondamentale. La Corte lesse la nozione di matrimonio ex art 29 Cost. alla luce del codice civile del 1942. Un testo, dunque, anteriore alla stessa Costituzione, e una interpretazione storica che calava sul tessuto normativo della Carta una ingessatura fatale.

Per l’interprete è buona regola dare alle Costituzioni – testi fatti per durare – una lettura evolutiva, per adattare la norma alla mutevolezza dei tempi. Se non avesse fatto così la stessa Corte costituzionale, nel nostro paese avremmo ancora una diversa sanzione per l’adulterio dell’uomo e quello della donna (sent. 64/1961 e 126/1968). E se non avesse fatto così il legislatore (l. 442/1981) potremmo ancora avere il delitto d’onore, per cui qualcuno certo troverebbe un fondamento costituzionale.

Altri giudici di costituzionalità hanno saputo dare al tema delle coppie omosessuali una lettura molto più aperta, e vicina al sentire di oggi. Basta leggere le sentenze della Corte Suprema degli Stati uniti, ed in specie l’ultima e fondamentale (Obergefell v. Hodges, 26 giugno 2015) per cogliere una ben diversa ampiezza di orizzonti. Eppure, quel paese ha avuto esperienza anche di leggi fortemente repressive. Le ha superate, con una lettura della Costituzione in chiave egualitaria, costruita sui diritti fondamentali di ogni persona.

Oggi in Italia ci si appiglia a una sentenza del giudice di costituzionalità per dissimulare un problema politico. È un errore. La stessa Corte costituzionale ha anche affermato che due persone del medesimo sesso hanno il diritto di formare una coppia, nella prospettiva di una stabile comunione di vita e di affetti. A questo punto che si chiami matrimonio o meno non ha importanza. Perché nell’ambito di quella coppia i diritti delle persone che la compongono non possono essere definiti dalla qualificazione giuridica della coppia. Sono diritti delle persone che ne fanno parte, a partire dalla filiazione. Non si deve misurare una distanza dal matrimonio che ne renda visibile la differenza. Si deve invece considerare quali siano i diritti inviolabili dei componenti della coppia come formazione sociale ai sensi dell’art. 2 della Costituzione.

Il punto focale non è dunque sulla qualificazione formale della coppia, ma sui diritti delle persone che la compongono. La prima non può limitare o negare i secondi. È assurdo e polveroso il dibattito in corso, dalla stepchild adoption all’affido più o meno rafforzato. Esprime tutta l’ipocrisia di un cattolicesimo provinciale che crede di difendere la famiglia attraverso la sua definizione giuridica. La famiglia si difende – e tutti vogliamo difenderla – garantendo la qualità della vita di chi ne fa parte. Sono forti le famiglie dove i giovani possono permettersi di sposarsi, mettere su casa, avere un lavoro, una decente assistenza sanitaria, una buona scuola per i figli, una assistenza dignitosa per gli anziani. Sono deboli le famiglie dove degrado, povertà, fame sono ostacoli insuperabili.
E dunque Renzi mostri gli attributi, se li ha. Non lasci il problema in mano a qualcun altro, come usa fare con le questioni difficili. Se no, vorremmo presentare al ddl Cirinnà un emendamento sull’orfanezza (secondo il dizionario, condizione di chi è orfano). Una normetta volta a consentire agli italiani di dichiararsi orfani: del governo Renzi.