Calciatori che dichiarano la propria omosesualità? In Inghilterra potrebbe cadere a breve termine il muro di omertà che avvolge il pallone internazionale, tra allenatori e atleti che più volte hanno affermato di non conoscere o aver conosciuto colleghi gay. Il numero uno della federcalcio inglese, Greg Clarke, ha confidato in un’intervista al Times di aver parlato con diversi sportivi omosessuali (15, tra cui alcuni calciatori, nelle ultime quattro settimane) e di aver discusso con loro l’opportunità di un coming out collettivo. Magari all’inizio della prossima stagione agonistica. Una violenta forza d’urto contro il codice machista imperante del pianeta football. «Se c’è un alto numero di atleti pronti a dichiararsi, perché non farlo tutti insieme?», spiegava il capo della Football Association al quotidiano inglese. Un deciso cambio di rotta da parte del capo della Football associatiion, che solo pochi mesi prima aveva parlato di un mondo del calcio non ancora pronto ad accogliere atleti omosessuali. Anzi, invitando a non fare coming out, continuando a tenere nascosta la propria sessualità, attirandosi le critiche del ministro dello sport del governo inglese, Tracey Crouch.

Insomma, in Inghilterra qualcosa bolle in pentola. E finalmente si va – si andrebbe – oltre le iniziative dimostrative degli ultimi tempi, come i lacci arcobaleno indossati dai calciatori lo scorso novembre per sostenere la comunità lgbt. Iniziativa nata dopo un’indagine pubblicata lo scorso autunno nel calcio inglese in cui i tifosi ammettevano di avvertire un diffuso clima di omofobia negli impianti. Certo il problema ovviamente non è solo britannico, come dimostra anche l’offesa sessista di Koke (Atletico Madrid) all’indirizzo di Cristiano Ronaldo avvenuta durante un match del massimo campionato spagnolo. E certo la pubblica uscita della Football Association sul coming out collettivo degli calciatori omosessuali serve anche a rendere meno dense le nubi sul recente scandalo pedofilia nel calcio giovanile nazionale e che ha visto coinvolti diversi allenatori.

Ma è da settimane che il tema tiene banco nelle discussioni sui media. Ancora sui quotidiani inglesi lo scorso novembre si leggeva di tre calciatori – ovviamente senza nome – che stavano discutendo con la federcalcio sulla resa pubblica dei propri gusti sessuali.

Un cambio di rotta in qualche modo favorito dal clima percepito dall’opinione pubblica inglese. In un recente sondaggio ComRes commissionato da BBC Radio 4, su un campione di 4 mila cittadini, l’82% non vrebbe alcuna problema dinanzi al coming out degli atleti e continuerebbero a seguirle le loro gesta nella Premier League, e solo l’8% contrario. E il 65% degli intervistati non immagina alcun poblema di spogliatoio per un atleta gay.

Sondaggi favorevoli, certo, per un percorso comunque non semplice. Il coming out 27 anni fa di Justin Fashanu è stato pagato a caro prezzo con il suicidio avvenuto nel 1998. Dopo lo sfortunato calciatore londinese hanno trovato il coraggio di uscire allo scoperto altri due atleti, Robbie Rogers, statunitense ex Leeds United e Los Angeles Galaxy e l’ex Aston Villa e Lazio Thomas Hitzlsperger. Ma entrambi l’hanno fatto solo a carriera finita, mostrando ancora una volta come il microcosmo del pallone sia in realtà un ambiente chiuso, verticale, poco incline al cambiamento culturale, ancora prima che sessuale. Mentre l’ultimo calciatore inglese dichiaratosi gay è stato tre anni fa Lima Davis del Gainsborough Trinity, che si confidava con i compagni di spogliatoio spiegando di essere stato accolto senza problemi.