Forse non ci sono parole per spiegare lo stato confusionale del governo. In molti potrebbero sostenere che si tratta di protervia. Altri direbbero che sostengono delle politiche sbagliate. Ma le informazioni che rimbalzano dal Ministero dell’economia circa la Legge di Stabilità, così come il Def, sono lo specchio fedele dell’assenza di politica economica.

Il dubbio che il Jobs act e l’articolo 18 siano solo la foglia di fico per nascondere lo stato confusionale del governo è più di un sospetto. Non a caso il governo italiano e il ministro Padoan rinviano il pareggio di bilancio al 2017, reclamando lo stato eccezionale dell’economia italiana, nel mentre la Commissione Europea, come un vecchio orologio, la richiama all’ordine.

Il governo giocando tra quadro tendenziale e programmatico dei livelli di indebitamento e avanzo primario, muta la natura e il segno della manovra economica, ritagliandosi uno spazio di 11 miliardi di euro, esattamente quanto serve a garantire la riforma fiscale relativa agli 80 euro e la riduzione dell’Irap di 5 miliardi alle imprese. Allo scopo concorre anche il risparmio di 5 miliardi relativo al servizio del debito.

L’aspetto «creativo» del Def è legato all’impatto della riforma del mercato del lavoro sulla crescita: tra più 0,1 e 0,3% del Pil. Si prefigura una lieve riduzione della disoccupazione dal 12,6 al 12,5%. Forse i miracoli esistono. Se consideriamo il livello attuale della disoccupazione (6 milioni di persone) e quella plausibile per il 2015, penso non inferiore al 14%, immaginare una crescita dello 0,6% del Pil è un esercizio di fede.

Infatti, solo in Italia i consumi delle famiglie si sono ridotti in questi anni, mentre negli altri paesi europei (storici) è rimasta stabile. Non si tratta solo di fiscalità generale, piuttosto della distribuzione primaria del reddito (contratti).

Il sospetto che la crescita «programmata» del Pil dello 0,6% per il 2015 sia funzionale a costruire un certo quadro di finanza pubblica è una certezza, e dà la misura del livello confusionale della politica economica di governo. Senza dimenticarci che nel frattempo è intervenuta la revisione del Pil (sec 2010) che ha permesso di contenere l’indebitamento al 3% nel 2014.
Ma lo slittamento al 2017 del pareggio di bilancio necessita di una avvertenza politica e tecnica. Il rallentamento del percorso di rientro è compatibile con la flessibilità prevista dalle regole dell’Unione europea, ma alla sola condizione di implementare le riforme delineate dalla Commissione.

Lo spostamento al 2017 del pareggio di bilancio è un guanto di sfida all’Europa? Ho il sospetto che la Francia sia più coraggiosa dell’Italia dal momento in cui critica proprio il fiscal compact.

La manovra economica (legge di stabilità) comunque deve rispondere a dei vincoli, che risiedono nei provvedimenti adottati dal governo, si pensi alla riforma fiscale e alla riduzione dell’Irap (11 miliardi), così come il rifinanziano delle poste indifferibili come le missioni all’estero (4-5 miliardi).

Per esempio, come sarà finanziato l’assegno universale previsto dal «Jobs act» (2 miliardi)? Prendendo i soldi dai soliti noti, cioè modificando le agevolazioni fiscali (tax expenditures), cioè una partita di giro.

Ma questi numeri nascondono alcuni provvedimenti che spaventano.

Ricordo che lo slittamento al 2017 del pareggio di bilancio ha delle controindicazioni: l’attuazione severa delle politiche europee. Infatti, le privatizzazioni slittano al 2015 (7 miliardi), i comuni potranno beneficiare dell’allentamento del patto di stabilità interno nella misura in cui cederanno per 1 miliardo le municipalizzate, rimane il blocco dei salari pubblici pari a 2,5 miliardi.

Alla fine Renzi è in confusione è adotta la vecchia politica democristiana: spostiamo nel tempo i provvedimenti, adottando quelli simbolici per reclamare la flessibilità all’Europa.

Nel frattempo è stata condotta una campagna contro il lavoro che non ha precedenti storici.

Ma sarebbe appena il caso di ricordare che l’incontro tra domanda e offerta di lavoro non avviene su un mercato impersonale e in corrispondenza di un salario d’equilibrio, ma è condizionato dall’esistenza di una pluralità di mercati della domanda e dell’offerta, da fenomeni di mismatch occupazionale dovuti all’inadeguatezza delle qualifiche, alla selettività dell’offerta, all’incompatibilità delle culture del lavoro, ecc. (Solow).

Aspettiamo la legge di stabilità del 15 ottobre e ancor di più il giudizio della Commissione, poi valuteremo con precisione le reali misure del governo. Al momento il governo fugge non sapendo cosa fare, ma prima o poi deve scegliere.