Mafia o non mafia? Il primo verdetto in materia lo emetterà il tribunale del riesame, che si riunisce oggi per esaminare le prima istanze avanzate dagli arrestati di Mafia Capitale. Il primo in assoluto è stato Massimo Carminati, e subito dopo Riccardo Brugia, Raffaele Bracci, Fabrizio Franco Testa e Roberto Lacopo. I casi degli altri indagati, che hanno presentato più tardi le loro istanze, verranno vagliati a seguire. L’ex sindaco Gianni Alemanno, che avrebbe voluto essere ascoltato subito, invece dovrà attendere.

La situazione di Carminati sarà dunque la prima a essere valutata. Se il tribunale dovesse dargli ragione, l’intera inchiesta verrebbe radicalmente trasformata. L’accusa di associazione mafiosa cadrebbe automaticamente per tutti e l’inchiesta di configurerebbe come una caso gigantesco e pervasivo di corruzione e clientelismo portato alle estreme conseguenze.
La decisione non arriverà, probabilmente oggi. Il tribunale del riesame ha cinque giorni di tempo per esprimersi. In realtà, però, la suspence è quasi inesistente e tutti, incluso l’avvocato di Massimo Carminati, Giosuè Naso, considerano certo il non accoglimento dell’istanza. «Non abbiamo alcuna fiducia», afferma lapidario il legale. «I giudici non hanno avuto nemmeno il tempo di studiare l’enorme mole di atti. Andremo a processo: non si illudano che facciamo il rito abbreviato».
Sull’«enorme mole di atti» è impossibile non concordare con Naso, e le indagini proseguono. Ieri la Guardia di Finanza era negli uffici dell’Ama, l’azienda romana dei rifiuti, per vagliare tutti gli appalti e vedere quali debbano essere commissariati.
In totale decine e decine di migliaia di pagine, tra informative, intercettazioni telefoniche o ambientali e indagini varie che vengono in questi giorni spulciati con certosina pazienza nelle redazioni di tutta Italia, procedendo un po’ a casaccio, sperando nella buona sorte, alla ricerca dell’aspetto ancora ignoto della maxi-inchiesta, o almeno della nota di colore saporita. Di conseguenza, giornali e tv continueranno a essere inondati di conversazioni spesso smozzicate che solo molto raramente aggiungono qualcosa di realmente nuovo all’impianto dell’indagine.

Uno di questi rari casi riguarda la Cascina, cooperativa vicina a Comunione e liberazione, che non è indagata, tanto che nell’ordinanza non è praticamente mai nominata, ma che invece compare a più riprese negli atti. Ne parla a ripetizione Luca Odevaine. Una volta per spiegare come è stato organizzato il bando per la gestione del Cara, un affare da 100 milioni di euro, poi vinto da una cordata di cooperative di cui facevano parte sia La Cascina che la Sisifo, legata alla Lega delle cooperative, più altre cooperative cattoliche. Il funzionario del Pd che «indirizzava i flussi» per tutto quanto concerne l’immigrazione definisce il bando «abbastanza blindato… sarà difficile che se lo possa aggiudicare qualcun altro, quasi impossibile». Prezzo del comunque lucroso affare, «un compenso da 10 a 20mila euro al mese».

Un’altra volta il medesimo Luca Odevaine si lamenta perché, dopo lo scandalo Expo, i versamenti a suo favore (nell’ordine di 80-100mila euro) dovranno avvenire in contanti e non più con le fatture all’estero: «Come cazzo ci giustifichiamo?». In un’altra occasione ancora discute di come organizzare i giri di appalti e pagamenti senza lasciare traccia con il consigliere della cooperativa La Cascina Salvatore Melolascina. Prima la creazione di una società di fiducia per lavori edili, poi un sovrappiù di pagamenti sia sui progetti che sulla realizzazione.

Cosa rappresenti La Cascina lo spiega Odevaine: «C’è stata una fusione tra questi due gruppi: uno è La Cascina, l’altro, ovviamente il più piccolo, che adesso si chiama Domus Caritatis e prima era l’Arciconfraternita del Santissimo Trifone, che sostanzialmente era, diciamo così, il braccio operativo del Vaticano».
Se l’inchiesta dovesse allargarsi sino a coinvolgere anche queste realtà associative cambierebbe il suo colore, diventerebbe «bianca, rossa e nera». Ma non ne verrebbe modificata la fisionomia che, al momento, più che una riedizione romanesca di Cosa Nostra o della Camorra, somiglia a un vorticoso giro di mazzette, gare pilotate, appalti distribuiti in base a logiche puramente clientelari. Una Piovra pure quella, col vestito buono e le dimore nel «mondo di sopra».