La scuola tedesca. Sedici differenti versioni di federalismo didattico nella Germania, che guida l’Europa in economia ma ha poco da insegnare sull’istruzione. Il modello funziona, ma solo se si ha la fortuna di nascere nel Land giusto, azzeccare il percorso educativo-professionale (già) al termine delle elementari, e non far parte del 10% dei tedeschi che abbandona gli studi prima del diploma.
Per gli altri la formazione è anzitutto una scommessa, che può andare bene o male a seconda delle capacità, del budget e dell’idea politico-culturale del ministro dell’istruzione locale.

Un sistema poco esemplare basato su selezione e competitività, che alimenta grandi eccellenze al pari di grossi «buchi». Modello per niente invidiabile, fatta eccezione, naturalmente, per i finanziamenti: 10.062 euro all’anno per studente contro 7.968 dell’Italia (dato Ocse 2015).
Gestita tutt’altro che prussianamente, la scuola tedesca è un puzzle nelle mani dei singoli Stati che decidono norme, programmazione, orari delle lezioni e perfino gli insegnanti.Mentre al «libero mercato» è affidato l’avviamento al lavoro.
Il risultato è un agglomerato caotico di scuole con lo stesso nome ma i più differenti indirizzi, governato dalla Conferenza permanente dei ministri dell’educazione e cultura dei Land (Kmk). Qui 16 dicasteri concordano le minime necessità comuni e gestiscono la trattativa con il governo centrale, che per l’istruzione nel 2017 erogherà 22,7 miliardi, come si legge nel disegno di legge sul bilancio federale firmato dal ministro Wolfgang Schäuble il 6 luglio.

Fondi pubblici non sempre ben spesi, a giudicare dai dati ufficiali 2015. Restituiscono la classifica dei sistemi più performanti: in testa spiccano Sassonia e Turingia, due Land «poveri» nell’ex Ddr, davanti a Baviera e Baden-Württemberg, i due Stati più «ricchi» della Germania. Mentre Berlino resta il fanalino di coda con il peggiore modello scolastico del Paese. Merito e colpa della giungla formativa. A Dresda puntano sulla ricerca e a fornire agli studenti le infrastrutture adeguate, in compenso la capitale della Sassonia vanta il record dell’abbandono scolastico (16,7%, la media nazionale è 11,7). In Turingia, altro Land «depresso» nell’Est, lo Stato impone la più alta spesa pro-capite per l’istruzione, ma il 40% degli insegnanti ha già compiuto 55 anni e non c’è il ricambio generazionale.

A Monaco e Stoccarda – dove la spesa per la scuola si aggira rispettivamente su 17 e 14 milioni di euro annui – garantiscono la migliore formazione della Germania, eppure i rapporti registrano le scarse possibilità di accesso ai Gymnasium come nelle aule studio delle università. Mentre Amburgo si distingue per l’investimento negli scambi internazionali ma raccoglie l’ultimo posto tra le facoltà di matematica. Proprio come a Berlino, dove brillano tre atenei però alle elementari e medie i programmi vengono ridimensionati perché mancano le strutture. A partire dall’educazione fisica «saltata» nei quartieri dove le palestre sono convertite ad alloggio per i rifugiati. Sempre L’emergenza-migranti ha costretto la capitale ad arrangiare «scuole speciali» per migliaia di minori con la più varia formazione culturale.

Quella professionale invece è «concordata» con le aziende che cogestiscono lo studio-lavoro nelle Berufsschulen. Imprese negli organi collegiali degli istituti e diplomi pubblicizzati fin sui mezzi pubblici, come qualunque altra merce.
Così, gli studi Pisa sulla valutazione degli studenti e Pirls sui progressi nella lettura bocciano la scuola «classista» della Germania (come già il rapporto Onu del 2007). Del resto, la rigida selezione inizia subito dopo la scuola elementare con l’incanalamento a un percorso che garantisce a tutti il posto di lavoro ma lascia pochi margini alla vocazione e alla formazione orizzontale.

«Il sistema dei diplomati e laureati funziona, ma manca la mobilità sociale» riassume Axel Plünnecke, esperto di educazione dell’Institut der deutschen Wirtschaft (Iw) di Colonia. Insieme ai numeri per scolarizzare i figli del milione e mezzo di profughi: 100mila nuovi asili, 200 mila posti in più nelle elementari, da 15 a 30 mila insegnanti da assumere, e 3,45 miliardi di euro da «sborsare».