Si intitola La vita sessuale dei nostri antenati (Mondadori, pp. 458, euro 19) ed è il nuovo libro di Bianca Pitzorno che per la prima volta si misura esplicitamente con un romanzo per adulti. A distendersi in questo volume, bello e corposo, sono nove capitoli costruiti come dei ritratti che rappresentano altrettanti interni familiari. Dagherrotipi, tele tagliate e fotografie sbiadite sono cornici entro cui la sessualità, la riproduzione e la morte, elementi iniziali e terminali di ogni intreccio, si contraggono ed espandono dalla fine del Cinquecento agli anni Settanta del Novecento. Collocabile nel territorio del romanzo storico, La vita sessuale dei nostri antenati eccede e scompagina i generi letterari, eventualità sapiente che Pitzorno declina attraverso forme diverse di espressione. In questo senso non stupirà l’occhieggiare al feuilleton e alla saga familiare, il gioco della temporalità convocata intera nel presente attraverso diari ritrovati, dipinti, lettere ma anche presagi e credenze popolari. Tutto infatti concorre alla presentazione della protagonista del romanzo, voce narrante e spesso narrata: Ada Bertrand, che alla fine degli anni Settanta è quasi quarantenne e ricercatrice di greco antico all’università di Bologna. Intorno a lei si snodano le vicende della sua famiglia, i Ferrell e i Bertrand, tra Bruges, Firenze, Donora e Ordalè – questi ultimi piccoli paesini di provincia dove Ada è nata e cresciuta – non dimenticando Cambridge e la Grecia, antica e moderna.

La nuda verità

La temperie culturale in cui la incontriamo, così come i sogni appuntati in un quaderno da portare poi al proprio analista, fanno da contrappunto alla sua passione che è quella per l’antichità e in particolare per il suo tema di ricerca: le nékuie, ovvero le evocazioni dei morti che fanno ritorno per parlare con i vivi – presenti sia nell’Odissea che nell’Eneide, per citare i due casi forse più noti – anche se Ada preferisce le defunte e il loro strano silenzio.

Se la nuda verità, per dirla con Szymborska, è occupata a rovistare esclusivamente nel guardaroba terreno, nell’esistenza di Ada Bertrand sessualità e morte si sovrappongono fino a confondersi e a sgretolare incrollabili e millenarie sicurezze logiche, il tempo si curva, interrompe e distrae per svicolare chissà dove. L’unica nudità plausibile non è infatti quella della verità ma delle creature come Ada, contraddittoria e curiosa che deve arrivare all’età di 37 anni per conoscere il primo potente orgasmo della sua vita; sessantottina, femminista e proveniente da una famiglia alto-borghese di provincia, è infatti un perfetto palindromo non solo nel nome che le viene assegnato ma anche nella sintesi metodica attraverso cui conduce i suoi affetti; ogni tanto capita qualcosa che la sorprende ma si tratta di una donna salda nella propria razionalità che non ama gli sprechi di sé.

Le avvertenze nel sottotitolo al volume, ovvero la sessualità è «spiegata a mia cugina Lauretta che vuol credersi nata per partenogenesi», indicano ciò con cui Ada si confronterà insieme all’intelligenza ironica che ha sempre caratterizzato la scrittura di Bianca Pitzorno, sia nei suoi numerosi lavori indirizzati all’infanzia e all’adolescenza, sia nelle due biografie dedicate a Eleonora D’Arborea e a Giuni Russo. In realtà l’idea che la scrittrice affida sottotraccia all’intero testo è che niente è come sembra, a partire dalle generazioni che tenderanno a succedersi ancora e senza apparente soluzione di continuità se il dato anagrafico resta prioritario e salta il posizionamento politico. Per capire l’origine di ulteriori confusioni retoriche – compresa quella sul cosiddetto «silenzio delle donne» che tanto attrae Ada e che, come è tristemente noto, è utilizzato nel dibattito pubblico quando il livello politico di sordità diffusa che abita il mondo diventa insopportabile -, Pitzorno costruisce un’articolazione precisa delle fonti e delle scelte che ha inteso più efficaci.

L’imponente biblioteca che ha al centro la vicenda di Ada e della sua genealogia prettamente in linea femminile, viene così consegnata ai personaggi e alle personagge che l’autrice ha prediletto. Versi e richiami, eventi e aneddoti che vengono enunciati dalle tante e tanti a cui Pitzorno dà la parola, fanno compagnia e indagano le possibilità del quotidiano vivere, il prezzo delle relazioni, insieme alle riparazioni – inconsce e non. Colpisce il desiderio di chiarificazione di sé attraverso l’amore per la conoscenza, il lucore di alcuni luoghi antichi greci e latini ma anche danteschi, la vicenda di Clorinda e Tancredi raccontata da Tasso, il ritorno a Saffo o alle rime di Michelangelo ma anche Ovidio, Thomas Mann e Virginia Woolf. Non è un catalogo pedante ma un bisbigliare della rammemorazione all’orecchio e all’occhio di chi legge.

L’interrogazione del presente

Va accolta in questo senso la sponda che Ada intrattiene con l’esperienza e la storia di chi è arrivata prima di lei, comprese sua nonna e sua madre, e in generale donne scomode che custodiscono segreti dolorosi e inconfessati. Un ascolto grato che non si spartisce con il sangue, bensì con una vigile osservazione, sempre accompagnata dalla certezza che la passione per l’onorabilità della tradizione si sopravvaluta, insieme a una discendenza legittimamente biologica che se solitaria non dice niente della finitezza dei corpi e della cura che a essi viene riconosciuta. Quella fragilità splendente diviene in tal modo visibile, ancora una volta letta da Ada come esercizio cauto e al contempo disobbediente della memoria, in attesa degli scherzi della ragione e senza alcun obbligo alla devozione. La vita sessuale dei nostri antenati suggerisce infatti che lo sguardo – per assumere profondità genealogica e politica – non può accanirsi troppo a lungo nei vicoli ciechi senza il pericolo di paralizzarsi e perirne. Ecco perché le forme del presente quando sono promettenti andrebbero costantemente interrogate e messe a tema, al dritto e al rovescio, come ben sa anche Bianca Pitzorno.