Lo stato d’emergenza prolungato di nuovo per tre mesi, i riservisti dell’esercito richiamati in servizio per rafforzare i controlli alle frontiere, impegno militare accresciuto della Francia su vari terreni di guerra, dal Mali alla Siria e all’Iraq e un ex primo ministro (Fillon) che avverte: «Non si può’ fare la guerra e la festa contemporaneamente». Il primo ministro, Manuel Valls, ha insistito: «Fronteggiamo la guerra che ci fa il terrorismo con lo scopo di imporre la paura, la Francia non si farà destabilizzare». Hollande, che ha proclamato 3 giorni di lutto nazionale, invita «all’unità». Valls promette che «la sola risposta valida» sarà di restare «fedeli ai valori del 14 luglio», la festa nazionale. Ma il paese traballa, dopo il nuovo attacco, che fa seguito a quelli del gennaio e novembre 2015, da Charlie Hebdo al Bataclan.

François Hollande, anche se non c’è stata rivendicazione dell’attentato di Nizza, fin dal primo intervento verso le 3,40 di ieri mattina, ha affermato che «il carattere terroristico (dell’attacco) non può essere negato».

L’appello «all’unità» necessaria, è caduto nel vuoto. Le reazioni politiche, fin dalle prime ore dopo l’irruzione di un semi-rimorchio sulla folla nella Promenade des Anglais alla fine dei tradizionali fuochi d’artificio della festa nazionale del 14 luglio, sono state di divisione, a presidenza e governo l’opposizione ha subito chiesto conto degli 84 morti, di cui 10 bambini e adolescenti, i 202 feriti, 52 ancora ieri tra la vita e la morte, 25 dei quali in rianimazione. Numerose le vittime straniere. C’erano 30 mila persone ad assistere ai fuochi d’artificio.

Solo poche ore prima, nella tradizionale intervista del 14 luglio alle 13 di giovedì 14 luglio, Hollande aveva annunciato la fine dello stato d’emergenza (che sarebbe scaduto il 26 luglio). Il governo presenterà un nuovo prolungamento di altri 3 mesi martedì prossimo. Ma per la destra non basta. Il primo a intervenire è stato l’ex sindaco di Nizza, Christian Estrosi, ora presidente della regione Paca (Provenza, Alpi, Costa Azzurra): «Non è il momento delle polemiche, ma mi faccio delle domande, sono molto stupito che qualche ora prima Hollande abbia indicato che non ci sarà più lo stato d’emergenza». Per Estrosi, «dopo Parigi e Bruxelles, è Nizza ad essere colpita dal terrore, prima di colpire altrove se non prendiamo coscienza che la Francia è in guerra». La destra chiede che lo stato d’emergenza venga rispettato in pieno e non lo sia «solo a metà». Non c’è solo

Marine Le Pen a incitare verso «una guerra contro il flagello del fondamentalismo islamista» o la nipote Marion Maréchal-Le Pen che chiede l’applicazione di misure «come le perquisizioni amministrative».

Per l’ex presidente Nicolas Sarkozy «siamo in una guerra che durerà a lungo» e lo stato d’emergenza deve essere applicato in pieno. Per François Fillon, «non si combatte Daech a metà» e «finché combatteremo contro il terrorismo islamista saremo in stato d’emergenza e penso che questo non basti ancora». Per il candidato alle primarie della destra, Alain Juppé, «se tutte le misure fossero state prese, il dramma non avrebbe avuto luogo, bisogna fare di più e meglio, prima di tutto per quello che riguarda i servizi». Secondo l’ex ghostwriter di Sarkozy, Henri Guaino, sarebbe bastato che i poliziotti fossero armati di «lanciarazzi» per evitare l’attacco.

Di fronte a questa escalation, i toni razionali faticano a farsi sentire. I Verdi hanno annunciato che non voteranno a favore del nuovo prolungamento dello stato d’emergenza, che per il deputato Noël Mamère «non è la soluzione». Lutte ouvrière critica la scelta di rispondere con sempre più guerra in Medioriente. Jean-Luc Mélenchon parla di «condivisione della sofferenza, con questo verifichiamo che siamo rimasti umani in questo mondo che sovente lo è così poco». Polemiche sul permesso di concentrazione di pubblico la sera del 14 luglio. Ma la polizia risponde che erano stati rispettati gli stessi criteri delle «fan zones» dell’Euro di calcio.

Anche l’app «allerta attentati» per smartphones lanciata qualche settimana fa dal governo non ha funzionato. Il ministro degli Interni, Bernard Cazeneuve, che si è recato subito a Nizza, è accusato di non aver ascoltato le raccomandazioni fatte dalla commissione parlamentare. Tra queste, ha ricordato ieri il deputato Républicain Georges Fenech, l’apertura di «centri di ritenzione» per i circa 3mila schedati «S» (radicalizzati) e per coloro che tornano dalla Siria. Si alzano di nuovo voci a favore della privazione della nazionalità per chi ha il doppio passaporto, per maggiori controlli giudiziari nei confronti di moschee e musulmani.

Hollande e Valls si sono recati ieri a Nizza, su due aerei diversi (per ragioni di sicurezza). Hollande ha di nuovo insistito sul «lungo combattimento» che dovranno affrontare «tutti i paesi che hanno la libertà come valore fondamentale». In mattinata, Hollande aveva convocato un consiglio ristretto di difesa all’Eliseo. Il piano «Sentinelle» (presenza di 10 mila militari) è stato riconfermato da Hollande. Ma arrivano critiche dalle gerarchie.

L’ex direttore della scuola di guerra, il generale Vincent Deporte, considera «insufficiente» lo stato d’emergenza nella forma in cui è stato applicato finora e «inutile» il piano Sentinelle. Per Deporte, «bisogna fermare l’uberizzazione della guerra, la sua parcellizzazione, colpendone i produttori, invece di mettere un soldato davanti a ogni bersaglio potenziale», cominciando con l’essere «molto fermi con le moschee radicali».