Dopo le vetrine in frantumi del primo maggio, il display di Banca Intesa suggerisce la possibilità di devolvere un euro in favore dei commercianti di corso Magenta. La signora della gastronomia siciliana di fianco, simpatica, suggerisce “sedia a rotelle per tutti”, senza fare troppe distinzioni. Sono le due soluzioni prevalenti che vengono declinate nei discorsi dei sinceri democratici che oggi cercano di capire: repressione ma anche mano sul cuore all’altezza del portafoglio, è l’orgoglio piccolo borghese della città che può nascondere qualcosa di feroce. A Milano, dopo il week end più complicato degli ultimi anni, si respira una strana puzza di Cif ammoniacal. Dà alla testa, brucia un po’ in gola e l’aria che tira non odora certo di primavera arancione. Ma quasi tutti sono soddisfatti dopo la disinfestazione delle ragioni (o sragioni) dei No Expo.

Sono giornate strane, gli accadimenti vengono ruminati con lentezza: l’unanimismo inizialmente prevalente (bene contro male, buoni contro cattivi) il giorno dopo lascia sempre il posto ad argomentazioni più articolate. Il “movimento” è in pausa di riflessione. Le lacerazioni sono profonde, anche per mettere a fuoco quella che è già passata alla storia come la marcia trionfante della società civile che ha ripulito Milano per restituirla ai milanesi in tutto il suo splendore. L’enfasi è imbarazzante. “La nostra città”, si esaltano i ventimila pulitori volontari scesi in piazza con le spugnette e arringati dal sindaco Giuliano Pisapia, uomo che questi meccanismi di fascinazione delle masse dovrebbe conoscerli a memoria. L’identificazione spontanea con “la nostra città” è rivelatrice, se è vero che il “blocco nero” non ha spaccato o imbrattato simboli particolarmente cari alla storia di Milano: vetrine, finestrini, mica le guglie del Duomo, Santa Maria delle Grazie o lo stadio del “triplete” (e di Van Basten).

05pol1f04 milano pulizie  foto yara nardi

Al netto di precedenti storici fuori luogo, la marcia dei 40 mila del 1980, quella sugli Champ Elyseés del 1968, è chiaro che questa è un’altra mazzata per chi non può stare né con l’unica opposizione esistente contemplata dalla post politica (riot inoffensivi per il potere) né con il “partito della nazione” che è sceso in piazza per ripulire il dissenso. Non solo il blocco nero ma anche le ragioni di chi contesta. Forse inconsapevolmente, forse mosso da quello spirito civico ambrosiano che purtroppo non si palesa spesso sulla scena pubblica. O forse perché fuorviato da una narrazione televisiva ridondante e funzionale a tenere alta la tensione (l’audience).

La domanda è: davvero non c’è qualcosa che non va in quella marcia degli “angeli” col Cif ammoniacal in mano? L’apologia del “blocco nero” è stata ridicolizzata dal famoso video del “pirla” incappucciato che ha goduto guardando spaccare qua e là. Bene. Però, in queste ore, circola un video dove una ragazza viene aggredita (verbalmente), insultata e poi inseguita fino in metropolitana. La circondano, la insultano, non la lasciano parlare. “Stronza”. Chiedeva perché mai in altre occasioni (corruzione, mafia, scandali) la “società civile” non si era dimostrata altrettanto solerte. “Prendi la spugna e vai a lavorare”, un grido ripetuto all’infinito. Una scena parziale ma autentica e penosa. La giunta arancione, e politicamente è un merito, così facendo forse ha rubato la scena a Matteo Salvini che ieri si è ritrovato in piazza circondato da quattro gatti e otto fascisti. Bravi. Ma con i sentimenti della gauche Mastrolindo che a buon mercato si spaccia per “l’angelo del fango” prima o poi bisognerà fare i conti. Anche piccoli sommessi pensieri. I muri da sempre parlano e non è stato bello vedere il nome di Carlo Giuliani cancellato con tanto zelo da ventenni inconsapevoli con la felpa della Nazionale. E, comunque, la scritta “Expo uguale cemento” non è un lascito dei brutti e cattivi.

Se ne può riparlare tra “noi”, o va bene così? Paradossalmente, ma sempre e solo nelle chiacchiere fra amici, la ripulitura dei muri ha risvegliato una sorta di orgogliosa incazzatura tra chi in queste ore è rimasto senza voce. C’è chi si è stupito dopo aver abboccato al richiamo della piazza, altri che per dovere (esponenti politici) se la rivendicano pur sottolineando che bisogna prendere le distanze da certo livore. Altri sono più netti: “Operazione politica vergognosa”. L’analisi più schietta l’ha postata Precarious Anonymous su MilanoX: “Il giorno dopo, con Pisapia che arringava la folla dalla pensilina di Cadorna, brandendo scopa e paletta, l’altra Milano è apparsa. Quella del potere, quella conformista, quella conservatrice. Età media: 50 anni. Tutti col lavoro e un business da difendere. Chi avrebbe voluto linciare i ventenni era lo stesso che li paga 500 euro al mese. Pisapia per non chiudere la sua esperienza su una nota fallimentare ha esaltato l’orgoglio borghese della città sperando di sottrarlo alla destra, e così facendo ha dimostrato di quale classe faccia parte”. Un punto di vista. Non isolato, ma non preponderante se confrontato con le considerazioni di quella caricatura di maggioranza silenziosa che si sente “di sinistra” e che si ritrova a suo agio con il Cif in mano, senza troppo ragionare su un’operazione ambigua al punto da evocare precedenti imbarazzanti.