È una bella giornata a Venezia, dalla stazione i vaporetti sono strapieni come sempre, il ponte dell’Accademia è da percorrere a passo svelto, ancora due passi e siamo di fronte al portone del Conservatorio Benedetto Marcello. Una lunga scalinata, fatta di corsa, per raggiungere la bella sala con le finestre toccate dal sole e dall’aria marina. Non ospita un concerto o un esame di ammissione musicale, ma Gravities di Laurent Chétouane, prima esperienza di incontro tra pratiche del corpo, pubblico e città de La dignità del gesto, la Biennale College – Danza, diretta in laguna da Virgilio Sieni.

Chétouane è uno dei 17 coreografi chiamati da Sieni a Venezia in questi mesi per lavorare, secondo il progetto College che investe tutti i campi artistici della Biennale, con alcuni dei 150 giovani danzatori selezionati quest’anno. «17 coreografi – spiega Sieni, direttore del settore danza – corrispondenti ad altrettante pratiche sul corpo che guardano alla capacità dell’uomo di abitare il mondo, intendendo la danza come spazio di convivenza con l’altro nell’atto della ricerca: un atto politico e culturale nella convergenza del corpo con il luogo».

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17 artisti tra cui un maestro chiave della coreografia del Novecento: Anne Teresa De Keersmaeker alla quale stamattina, alle 11.30, a Cà Giustinian, viene consegnato il Leone d’Oro. Un premio che sarà seguito stasera dal riallestimento al Teatro alle Tese di un capolavoro dell’artista, quel Fase, four movements su musica di Steve Reich, creato nel 1982 a Bruxelles. Una coreografa, pedagoga e danzatrice che – dichiara Sieni nella motivazione del premio «si è presa cura della misura e della durata del corpo sonoro dell’individuo e del danzatore per porlo sulla soglia del mondo».

La presenza di De Keersmaeker dà già da sola alla Biennale College il respiro di un festival, e con lei tra i 17 chiamati a lavorare a Venezia sulle pratiche del corpo ci sono artisti come Cesc Gelabert, Alessandro Sciarroni, Emanuel Gat, Xavier Le Roy, Michele Di Stefano (Leone d’Argento 2014), Claudia Castellucci.

Iniziata giovedì, la Biennale College di Sieni chiuderà domenica. Noi siamo partiti ieri con Chétouane (replica oggi alle 15) ed è subito stato evidente che sarà un weekend intenso in cui lasciare che la geografia dei luoghi danzanti ideata da Sieni risvegli la relazione dell’uomo con la città e l’architettura. In Gravities gli spettatori sono seduti ai margini della sala, su sedie e cuscini. Al centro, nello spazio illuminato dalla luce naturale, ci sono quattro danzatrici. Arrivati per ultimi, ci siamo goduti il privilegio del colpo d’occhio sulla relazione che Biennale College – Danza mette in moto. Il pubblico seduto, come le quattro giovani danzatrici al centro, era già diventato parte di un condiviso affresco spaziale: sala «abitata» nel suo centro (il luogo della performance) e nella sua periferia (i quattro margini della stanza, dove stanno gli spettatori), quadro a partire dal quale immaginare lo sviluppo architettonico di tutta la città (dalle finestre aperte respira il resto di Venezia) e le sue mille relazioni tra luoghi e persone. Non a caso il Presidente della Biennale, Paolo Baratta, presentando la Biennale College – Danza ha sottolineato come Sieni nel suo operare evidenzi «il ruolo centrale dello spazio pubblico nella vita urbana», uno spazio pubblico «nel quale si riconosce una comunità e nel quale ha luogo il congiungimento ’fisico’ tra i componenti della comunità».

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Prima di scrivere abbiamo fatto in tempo a vedere un secondo breve lavoro della Biennale College 2015: Islands Revisited, in Campo San Maurizio (replica oggi alle 16, domani alle 18). Qui altre danzatrici sperimentano di fronte al pubblico e ai passanti il frutto del loro incontro con Salva Sanchis, collaboratore da anni di Anne Teresa De Keersmaeker.

Semplici panche bianche, dove si siedono gli spettatori, disegnano uno spazio rettangolare che ha per sfondo i bei palazzi di mattoni del Campo. Se con Gravities, il tema del movimento era, come dichiara anche il titolo, il corpo in rapporto alla caduta, al lasciarsi andare nella «gravità», in una sorta di improvvisazione consapevole dove, «la danza è la contingenza degli incontri, una coreografia di istantanee», Sanchis mette a punto un pezzo elaborato nella relazione con la musica e con l’apparizione/sparizione dei performer che ritornano in un mutamento di colori e costumi. È una danza dalle linee circolari, avvolgenti, fortemente dinamiche nel risolversi in impulsi verso l’esterno del corpo.

Proiezioni nello spazio fuori da sé, che con personale modalità compositiva, rendono visibile nuovamente la relazione emozionale con l’architettura del luogo. Un vagabondare nella città sulle vie della danza, che riporta a Venezia anche parte dei magnifici Quadri dal Vangelo secondo Matteo di Sieni, visti l’anno scorso al festival. A Cà Giustinian, stasera alle 17.