Melville, Conrad, Gauguin e (anche se nessuno lo cita, forse perché è un «documentario», in bianco e nero) il grande film polinesiano di Flaherty, Moana (1926), insieme a un fittissimo pot pourri di colore e folklore pan-Pacifico, a canzoni co-scritte da Manuel-Lin Miranda (il compositore di Hamilton) e ai registi di La Sirenetta e Alladin: è il cartoon Disney di questo Natale, Oceania (Moana, nel resto del mondo, dove quel nome non ricorda quello di un’amata pornostar), il secondo che lo studio distribuisce quest’anno e, come Zootropolis, un enorme successo di botteghino.

Presentato come un detour dalla tradizione delle principesse disneyane (tecnicamente parlando, la sua protagonista non è di sangue blu e, a metà film, non si trasforma in un’eroina romantica), Oceania colloca il suo messaggio di empowerment femminile (già incarnato da Ariel, Belle, Mulan….) nella storia delle navigazioni pacifiche interrottesi, duemila anni fa, per ragioni che (sembra) gli studiosi non sono mai riusciti interamente a spiegare, per poi riprendere circa mille anni dopo. In Oceania, la causa di quell’interruzione è attribuita a Maui, un semidio della mitologia polinesiana, capace di assumere forme diverse; mentre l’eroe che ricongiunge gli isolani alla loro gloriosa storia di traversate transpacifiche è una ragazzina di sedici anni, irresistibilmente attratta dal mare. Quando la incontriamo, la sterminata distesa turchese che si stende aldilà della barriera corallina, è off limits a lei e a tutti gli abitanti di Motunui. Rubando una pietra/cuore della Dea protettrice delle isole, Maui ha incrinato irreparabilmente il rapporto tra gli isolani e il mare – un tempo luogo di ricchezza e avventura, oggi sinonimo di pericolo.

Tutto quello di cui c’è bisogno è qui sull’isola, il papà capo villaggio ammonisce Vaiana (il nome della ragazza nella traduzione italiana), anche se fin da quando è piccola, l’acqua si apre invitante davanti ai suoi passi, come intimandole di seguirla. Quando un male misterioso colpisce i raccolti, Vaiana  riesce finalmente a convincere i suoi a lasciarla partire, alla ricerca di Maui e della pietra/cuore necessaria a riparare l’armonia tra gli umani e l’ecosistema. Coraggio, curiosità, la voglia di sfidare i pregiudizi e le convenzioni e una buona dose di forza fisica sono le qualità di Vaiana e, insieme al suo messaggio ambientalista e a quello multiculturale, i valori del film, purtroppo (anche letteralmente) appesantito dal personaggio di Maui – tutto ego, sbruffonerie, sfuriate e smorfie, forse intesi a conquistare ragazzini poco interessati alle principesse. In realtà, sarebbero bastati gli sbalzi di umore del suo tatuaggio (animato via disegno, non computer) per renderlo bene, senza occupare tanto posto nella storia.

Con La sirenetta, Ron Clements e John Musker, registi di Oceania, erano stati due dei protagonisti della rinascita del dipartimento animazione della Disney, all’inizio dei ’90, sotto la gestione di Jeffrey Katzenberg. Questo è il loro primo cartoon (quasi) del tutto animato digitalmente e nelle ricchezza e nell’esuberanza dei colori e degli sfondi, si sente sia la loro passione per il mondo in cui è ambientato, che l’energia che John Lasseter ha portato, dopo l’annessione Pixar, supervisionando tutta l’animazione realizzata allo Studio.

Come in La Sirenetta, l’acqua è uno dei grandi protagonisti visivi ed emozionali di Oceania. Certo per quanto divertente e lisergico (sprazzi di Dumbo e di Il libro della giungla) il numero sottomarino con granchio non evoca la magia del calypso di Under The Sea. E a Oceania manca l’incantesimo spontaneo dei migliori cartoon Disney, quando essere un blockbuster non era un must fatto di ingredienti da iniettare a forza.