Guido Bertagna, Adolfo Ceretti e Claudia Mazzucato (rispettivamente un teologo gesuita, un criminologo e una docente di diritto penale) sono i tre curatori di un libro destinato a squarciare la memorialistica e la storiografia della lotta armata in Italia (e forse non solo), aprendovi inediti orizzonti di senso, illuminandole di una luce nuova: lo ha appena pubblicato il Saggiatore, il titolo è Il libro dell’incontro, il sottotitolo Vittime e responsabili della lotta armata a confronto” (Il Saggiatore, pp. 466, euro 22).

Dov’era riposto infatti, almeno fino ad oggi, il senso di quegli anni, degli anni Settanta e ottanta del secolo scorso? Era in un pugno di verità contenute nelle sentenze dei tribunali, ma la verità processuale è cosa diversa dalla verità storica, come si sa, e perdipiù su molti di quei fatti è perfino un accertamento processuale a mancare (basti pensare alle tante stragi ancora prive di colpevoli); era nelle appropriazioni fattene dai partiti politici, ma ciascuno in funzione esclusiva dei propri obiettivi; ed era infine nelle testimonianze ora degli uni ora degli altri dei protagonisti.

Ferite aperte

Le vittime o i loro famigliari, da una parte (si pensi, negli ultimi anni, ai libri di Mario Calabresi o a Benedetta Tobagi); i responsabili dall’altra (e qui si pensi ad esempio all’intervista di Carla Mosca e Rossana Rossanda a Mario Moretti, Brigate rosse. Una storia italiana, risalente ormai al 1994). Ne è sempre derivata una memoria frammentaria, divaricata, strumentalizzata (lo ha spiegato forse meglio di tutti Giovanni De Luna, nel suo Le ragioni di un decennio); una memoria non a caso ancora dolorante e che ancora brucia, come se – per usare le parole di una poesia di Mario Luzi, Presso il Bisenzio – fosse ancora vivo il «fuoco della lotta/quando divampava e ardevano nel rogo bene e male». Dentro questo «fuoco» sono entrati ora Bertagna, Ceretti e Mazzucato, per cercare di costruire una memoria che sia invece condivisa, per quanto corale e policentrica.

È il frutto di un lavoro di anni, Il libro dell’incontro, durante i quali i suoi curatori, a partire dal 2009, hanno fatto appunto incontrare, nella veste di mediatori, alcune vittime o loro famigliari e alcuni responsabili della lotta armata fra gli anni Settanta e Ottanta. Le persone coinvolte sono state circa sessanta, gli incontri continuativi e talvolta anche residenziali. Bertagna, Ceretti e Mazzucato hanno lavorato per propria iniziativa; e pochi erano al corrente di quanto stavano facendo. Fra queste il Cardinale Carlo Maria Martini, un gruppo di esponenti della società civile definiti «Primi Terzi» e uno di autorevoli «garanti», quali ad esempio Gherardo Colombo e Valerio Onida.

Ciascun incontro trovava in se stesso il proprio significato e il proprio fine: vittime e responsabili si ritrovavano faccia a faccia, e potevano guardarsi, parlarsi, ascoltarsi, o anche solo rimanere in silenzio. Le loro «voci» costituiscono adesso il cuore pulsante del Libro dell’incontro: attorno a loro, prima e dopo, il libro è fatto anche di molti necessari contributi scientifici ed è arricchito da una Postfazione di Luigi Manconi con Stefano Anastasìa, ma rimangono le «voci» il suo più ardente «fuoco». Nella maggior parte dei casi non sappiamo neppure a chi attribuirle, perché anonime; in altri, appaiono le firme in calce (ad esempio di Agnese Moro, o Adriana Faranda, o Manlio Milani).

Lette, come devono essere, in un continuum narrativo, queste «voci» sembrano quasi una Spoon River dei vivi, dove nessuno però potrebbe aver fiato da solo, perché la «voce» di ciascuno ha bisogno di quella che la precede come di quella che la segue. Ed è questa la potenza anche storiografica del libro: a parlare di quegli anni non sono le vittime o i responsabili della lotta armata, in racconti solipsistici, ma sono le une e gli altri insieme, e le loro parole sono parole nuove e mai sentite proprio perché scaturiscono dal loro intrecciarsi. Sono parole che aspettavano di salire alla superficie, ma occorreva che qualcuno gliene offrisse un tempo e uno spazio.

L’aver immaginato questo tempo e questo spazio è il più grande merito da attribuire a Bertagna, Ceretti e Mazzucato, i quali dichiarano apertamente di riconoscere il proprio modello nella giustizia riparativa, che a sua volta trova la propria espressione più nobile nell’esperienza della Commissione Sudafricana per la Verità e la Riconciliazione.

La giustizia riparativa, infatti, non si accontenta delle sentenze bensì ha l’ambizione di offrire qualcosa di più, in primo luogo alle vittime dei reati ma anche ai loro autori: un’occasione per superare insieme, aldilà dei ruoli processuali e nella relazione dialogica, le conseguenze generate dal reato. Nel caso del confronto fra i protagonisti della lotta armata l’ambizione era ancora più alta, perché a contrapporre le parti in gioco non era e non è semplicemente un conflitto, ma un «dissidio» vero e proprio, vale a dire un conflitto «irriducibile».

Nessuno era in cerca di perdono, non interessava ai curatori del libro procurarlo né i responsabili lo chiedevano; e neppure la riconciliazione, a ben vedere, doveva essere per forza l’esito degli incontri, il cui fine ultimo risiedeva piuttosto in una «ricomposizione» delle memorie e dei punti di vista in virtù della quale a ciascuno fosse dato quantomeno di essere ritenuto legittimato a parlare e di essere ascoltato.

Un fragile equilibrio

Sembra forse poco, ed è invece moltissimo: un «compromesso» virtuoso, un equilibrio fondato sull’apertura di nuove possibilità, «fragile» e «insicuro» come tutto ciò che richieda cura e come ogni proiezione sul futuro lo è per definizione (nelle parole di Claudia Mazzucato e di Federica Brunelli, quest’ultima in un testo contenuto in Giustizia riparativa, a cura di Grazia Mannozzi e Giovanni Angelo Lodigiani, di recente pubblicazione dal Mulino). Solo il futuro, dunque, potrà dire se questo equilibrio, che il lavoro testimoniato dal Libro dell’incontro è riuscito a creare, saprà anche perdurare. Il libro dell’incontro dimostra che un’esperienza di giustizia, diversa quella ordinaria, è sempre possibile; e costituirà un precedente di enorme valore anche politico.