Pare che abbia vacillato, nell’aprire la porta, l’impiegato della Deutsche Bank che qualche giorno fa si è trovato davanti le divise della Guardia di Finanzia. Loro, i teutonici custodi del rigore morale in un’Europa corrotta e dissoluta, indagati dalla Procura di Trani, con tanto di blitz delle fiamme gialle nella sede milanese per il sequestro di atti utili all’indagine. L’accusa: manipolazione del mercato.

Nei primi sei mesi del 2011 il colosso finanziario tedesco decide di vendere la quasi totalità dei titoli pubblici italiani in proprio possesso: si tratta di 7 miliardi di euro di titoli, l’88% dell’esposizione della banca al debito pubblico italiano, gettati sul mercato in un arco di tempo ristretto e senza alcuna forma di coordinamento con le autorità monetarie; difatti, le transazioni vengono effettuate su mercati over the counter, non regolamentati, una zona grigia sottratta a qualsiasi controllo amministrativo e dunque alle norme che tutelano la stabilità finanziaria.

L’effetto, prevedibile, è un crollo delle quotazioni dei titoli pubblici del nostro paese a cui corrisponde un aumento nei costi dell’indebitamento dello Stato. In una parola, ecco lo spread, che segna la differenza tra il costo del nostro debito pubblico, crescente, e quello tedesco, stabile: in quel frangente lo spread sul debito pubblico italiano cresce di oltre 500 punti base, fornendo al mondo l’immagine limpida di un paese sull’orlo del default. Il dado è tratto, sembra preannunciare un incredulo Prodi dalle colonne del Corriere della Sera del luglio dello stesso anno: «Significa la fine di ogni legame di solidarietà e significa obbligare tutti a giocare in difesa. E quando questo viene dalla Germania … sono assolutamente turbato».

Non passa neanche un mese quando il governo italiano riceve la famosa lettera della Bce, in cui sono messi nero su bianco i punti di un programma di governo mai votato dagli italiani, l’austerità. Per attuarlo, occorrerà accompagnare all’uscio, tra i sorrisetti complici di Merkel e Sarkozy trasmessi in mondovisione da Bruxelles, il debole e inattendibile Silvio Berlusconi e nominare al suo posto il capo di un governo di tecnici, istruiti all’arte del rigore. Anche per l’Italia si apre, così, la stagione dell’austerità.

Le indagini dovranno senz’altro chiarire gli aspetti più oscuri dell’operazione finanziaria condotta dalla Deutsche Bank nel 2011: proprio mentre realizzava quella massa di vendite, la banca tedesca rassicurava gli investitori circa la sostenibilità del debito pubblico italiano, salvo poi scommettere, con il contestuale acquisto di Credit Default Swap, sul deprezzamento dei titoli che quelle stesse vendite stavano contribuendo a produrre, in un vortice speculativo che ha minato le fondamenta della stabilità finanziaria dell’Italia.

Ma le vicende finite sotto la lente della Procura di Trani hanno un significato storico che travalica la dimensione legalitaria, poiché quel vero e proprio terremoto finanziario ha costruito le premesse per un’operazione squisitamente politica, costringendo l’Italia sul binario morto dell’austerità al di fuori di qualsiasi dialettica democratica.
E, per venire ai nostri giorni, non può non tornare alla mente la recente richiesta tedesca di introdurre un tetto agli acquisti di titoli pubblici da parte delle banche, di cui si è discusso ad Amsterdam la scorsa settimana. Tale misura limiterebbe sensibilmente la capacità del sistema bancario nazionale di contrastare, con un’intensificazione degli acquisti, eventuali future sortite di operatori finanziari esteri, del tipo di quella realizzata dalla Deutsche Bank nel 2011: un recentissimo paper della Banca d’Italia mostra chiaramente come gli acquisti effettuati dalle banche italiane durante la crisi abbiano permesso di contenere la spirale nei tassi dell’interesse sul debito pubblico, costituendo così un argine alle turbolenze dei mercati che sarebbe impossibile ergere qualora, accogliendo la richiesta tedesca, si rinunciasse alla possibilità stessa di accumulare ingenti quantità di debito pubblico nel portafoglio delle banche. In sostanza, proprio mentre individuiamo nella massa di vendite della Deutsche Bank uno dei fattori scatenanti della crisi degli spread, rischiamo di privarci degli strumenti necessari a contrastare simili attacchi speculativi.

Infine, uno sguardo all’attuale contesto istituzionale europeo rende la questione ancora più delicata. Esso poggia infatti sul Meccanismo Europeo di Stabilità (Esm), uno strumento tramite cui i paesi colpiti da una crisi del debito pubblico possono ottenere aiuti finanziari subordinatamente all’attuazione di politiche di austerità. Si tratta dell’unica ancora di salvezza per un paese sull’orlo del default: in questo modo, l’austerità è stata dunque posta come condizione politica alla stabilità finanziaria.
Ma chi governa quella stabilità, se è vero che gli spread rispondono solo ed unicamente ai rapporti di forza che si manifestano nel caos dei mercati finanziari, come ci insegna il caso Deutsche Bank?