Sono due le immagini simbolo del disastro ambientale che si è riversato domenica sera in Valpolcevera quando un tubo di settanta centimetri di diametro dentro cui il greggio che arriva dal porto Petroli viene pompato fino alla raffineria Iplom di Busalla è letteralmente esploso riversando prima nel piccolo rio Pianego e poi nel Polcevera 600 mila litri di petrolio. La prima è rappresentata dalla panoramica girata dall’alto dai vigili del fuoco che mostra la marea nera che dalla Foce del Polcevera, dove sono state posizionate le panne affinché il petrolio non arrivi al mare aperto, risale per alcuni chilometri distruggendo ogni forma di vita al suo passaggio. La seconda è quella di un’anatra selvatica, soccorsa ieri dall’Enpa sul greto del torrente ma che a detta degli stessi volontari, probabilmente non ce la farà. Come non ce l’hanno fatta i pesci del Polcevera e le rane del rio Pianego. «Finora abbiamo soccorso una dozzina di animali, soprattutto oche, anatre e aironi – racconta Francesco Baroni, volontario Enpa – ma il peggio verrà nei prossimi giorni quando molta della fauna selvatica che oggi si nasconde tra la vegetazione accuserà le conseguenze dell’intossicazione». Pesci intanto nel Polcevera non se ne vedono più: «Abbiamo visto molti aironi sulla foce del fiume, probabilmente attratti dai pesci in difficoltà».

Se dalla Valpolcevera si risale a sinistra per la valletta laterale da cui domenica sera è arrivata la marea nera, a dare la misura del disastro quasi più delle immagini è l’odore acre degli idrocarburi che gli abitanti di Fegino respirano da 72 ore. Quartiere operaio che paga già dazi pesanti in termini ambientali, Fegino sorge stretta tra il verde della collina e i depositi della stessa Iplom, soffocata dal via vai di tir diretti a un’azienda di movimentazione container nella parte alta che spesso si incastrano nelle strette curve e che più volte hanno costretto gli abitanti a scendere in piazza. E ancora più in cima i cantieri collaterali alla realizzazione del Terzo Valico ferroviario.

Man mano che si risale lungo la strada che costeggia il rio il petrolio che evapora sotto il sole prende alla gola e agli occhi e le rassicurazioni arrivate da Arpal e dal sindaco Marco Doria agli abitanti non bastano. «Meno male che oggi la scuola è aperta – dice Antonella Marras – perché almeno i bambini stanno al chiuso: è evidente che di farli giocare fuori non se ne parla». «È da domenica sera che la gente ha mal di testa perenne e mal di gola e con l’arrivo del caldo l’aria è diventata irrespirabile» denuncia Stefania Fenu – che da ieri va in giro con una mascherina bianca mentre insieme ad altri abitanti della zona percorre su e giù la creuza che costeggia il rio Pianego dove da oggi sono al lavoro alcune imprese chiamate dalla Iplom per la bonifica. Avvicinandosi verso la zona dove il tubo è deflagrato ci sono ancora enormi pozze di petrolio e la situazione dell’aria, complice la valle stretta dove non arriva il vento, peggiora. Giù nel piccolo torrente un paio di uomini con stivali, mascherine e tute bianche pucciano fogli assorbenti nella melma densa e nera, poi li mettono nei sacchi dell’immondizia. Gli abitanti sono perplessi: «A questo punto faremmo prima noi con le spugne». Arriva Arpal e procede con i prelievi: «È tutto sotto i livelli consentiti dalla legge» ribadisce l’Agenzia per la protezione dell’ambiente, ma intanto in tarda mattinata un’anziana abitante si sente male. Sviene davanti alla troupe di una tv e viene portata via in ambulanza. Gli abitanti vedono una ruspa lavorare a pochi metri dal tubo incriminato e minacciano di chiamare i carabinieri: «Impediremo in tutti i modi che ripristinino l’impianto prima di aver bonificato tutta la zona» dicono inferociti. Poi la presidente del Municipio Iole Murruni tenta di rassicurarli: «Si tratta solo di un’attività prevista dalle procedure per la messa in sicurezza della zona» dice, ma la tensione resta alta. Lunedì sera circa un centinaio di abitanti ha partecipato a un’assemblea convocata ai giardini pubblici: «Siamo stufi e preoccupati, vogliamo fatti non parole» hanno ripetuto in molti.

Romolo Santagata abita a poche centinaia di metri dalla zona dove si è verificata la fuoriuscita di greggio: «Domenica sera ho sentito un botto e dalla finestra ho visto una marea nera che veniva giù nel torrente – racconta – subito abbiamo pensato che avesse a che fare con la discarica di Scarpino. Poi sono andato su, risalendo la creuza e ho visto uno zampillo di dieci metri che puntava verso l’alto e poi cadeva nel fiume». «Non è possibile che un’infrastruttura considerata strategica come questa sia gestita con sistemi così antiquati – denuncia Maurizio Aiello – tanto che i tecnici della Iplom sono arrivati due ore dopo e la valvola l’hanno dovuta chiudere manualmente provocando danni ambientali ingentissimi e anche danni alla salute, che si sarebbero potuti evitare se non avessimo impianti di settant’anni privi di qualsiasi sistema tecnologico». La Regione tramite la Asl tre ha deciso di inviare a Fegino un ambulatorio mobile soprattutto a scopo preventivo con a bordo medici e psicologi: «Gli psicologi? Ci hanno preso per pazzi? – dicono gli abitanti – abbiamo mal di stomaco e nausea perché abbiamo una psicosi?». Un gruppo di loro oggi ha assistito alla seduta del consiglio comunale dove il sindaco ha letto un’informativa sulla situazione dopo lo sversamento. Quando è arrivato alla parte relativa alla non sussistenza dei rischi per la salute, però gli abitanti sono sbottati: «Vergogna» hanno urlato in direzione del sindaco: «Perché non viene a respirare l’aria che respiriamo noi?».

Intanto verso sera arriva la notizia che alcune chiazze di greggio sono arrivate in mare e si dirigono verso il largo sospinte per tutta la giornata dal forte vento di tramontana. Poco o nulla rispetto alla situazione del Polcevera, certo, ma ora oltre agli abitanti di Fegino, è tutta la città ad avere paura, soprattutto in vista del fine settimana dove sono annunciate piogge che potrebbero trascinare l’onda nera lungo le coste del golfo di Genova.