Qualcosa deve essere successo negli ultimi giorni se perfino molti media europei a questo adusi, hanno smesso di insultare i greci e il governo che si sono scelti. Se le corrispondenze tv da Bruxelles e da Berlino hanno abbandonato i toni minacciosi e lugubri per sprizzare ottimismo e buoni sentimenti. Qualcosa è successo, ma nessuno si è preso la briga di spiegarci cosa. Eppure non è per l’attesa dei risultati del voto britannico e ino0ltre non c’è nulla di segreto. Una decina di giorni fa Alexis Tsipras è apparso in tv e per la prima volta ha fatto direttamente cenno all’eventualità di un referendum. Deludendo le aspettative della stampa italiana ed europea, sul piatto non ci sarà l’uscita o no dall’eurozona. Ci sarà invece la proposta di austerità sulla quale Grecia e creditori si stanno scontrando negli ultimi tre mesi: volete voi approvare queste misure di austerità che a noi del governo ci fanno ribrezzo? Rispondere sì o no.

Sembrerà strano, ma il governo greco è convinto di poter vincere questo referendum, pur avendo contro la totalità dei media. Le tv oligarchiche greche fanno pena e l’opposizione filotedesca pure. Dall’altra, la gente sente la parola «riforme» e perde subito la pazienza. Ci sono quindi per Tsipras fondate speranze che si armi alla fine di un sonoro no, in modo da poter andare a sbatterlo in faccia a Schauble, chiedendogli se intende ignorare anche questo responso delle urne greche.

Poi abbiamo avuto un insolito flusso di voci ufficiose provenienti tanto dal governo quanto da Syriza. Queste voci insistenti dicevano che i 200 milioni del 6 maggio sarebbero stati senz’altro pagati al Fmi (come è avvenuto). Ma i 750 milioni del 12 maggio non erano per niente sicuri, per il semplice fatto che i soldi sono sempre di meno. Alcuni ministri greci, compreso il «moderato» Dragasakis, hanno ripetuto ancora una volta che se dovevano scegliere tra pensioni e debiti avrebbero scelto le prime. Finchè lo stesso Tsipras si è attaccato alla cornetta e ha informato tutti, da Juncker alla Merkel e da Putin a Dijsselbloem, che o si raggiungeva un accordo realistico all’eurogruppo di lunedì oppure martedì la Grecia smetteva di pagare. In Italia non se ne è parlato molto per non spargere il panico nella fila della maggioranza e per rispetto per il lutto di Schauble, ma tutto questo attivismo ha avuto effetto. Sembrerebbe che gli europei abbiano finalmente capito alcune cose semplici: che Tsipras non vuole uscire all’eurozona, ma non è per niente disposto a piegare la schiena per rimanerci. Se messo alle strette, come si è trovato alla fine di aprile, è pronto a gettare il cerino acceso nel cuore dell’eurozona.

In tutta Europa girano autorevoli economisti, banchieri, finanzieri, giornalisti o semplici milionari, pronti a giurare che “l’eurozona è corazzata” e che “non ci sarà nessun effetto domino”. Poi, di fronte alla possibilità concreta, Juncker si è visto improvvisamente nel ruolo di pensionato brillo, Schulz costretto a volantinare nella periferia di Dusseldorf e la Merkel a dover dare spiegazioni alla Bdi (la Confindustria tedesca) per aver mandato in fumo l’eurozona e forse anche l’Ue. Lo ha capito perfino Schauble: il grexit è un’invenzione da dare in pasto alla plebe, ma per carità, non si può fare.

Ecco quindi che è giunto alle nostre orecchie l’eco di una rissa furibonda tra il Fmi e gli europei, sembra già scoppiata a Riga, quando Varoufakis stava per essere fucilato sul posto. Il Fmi concorderebbe con Tsipras che il debito greco è insostenibile e vorrebbe un generoso taglio, esigendo in cambio la deregulation del lavoro dipendente. Gli europei non vogliono sentire parlare di haircut e insistono sull’aumento delle tasse. Tra i due litiganti, l’isolato, frustrato, disperato e «sconfitto» Tsipras per ora è tutto meno che isolato, frustrato e sconfitto.

Sono queste le premesse che fanno presagire che si vada verso quel «compromesso onorevole» evocato fin dall’inizio da Atene. Forse lunedì non ci sarà un accordo ma solo una dichiarazione pubblica, mentre i contenuti non sono ancora noti. Abbiamo solo le rassicurazioni corali di tutti gli esponenti del governo che le «linee rosse» anti-austerità saranno pienamente rispettate.

Mercoledì era il giorno della riassunzione di tutti gli statali licenziati illegalmente, comprese le eroiche donne delle pulizie del ministero delle Finanze. Ma era anche il giorno in cui sono stati rinviati a giudizio 40 imprenditori e banchieri (tra cui alcuni oligarchi) che hanno letteralmente saccheggiato il BancoPosta ellenico prima di svenderlo. Alcuni sono già in galera, altri seguiranno. Sì, Tsipras gioca duro e gioca per vincere.