Anche in questa edizione di «Cinema e donne» di Firenze (6-11 novembre) si celebrano accanto alle novità e alle tendenze da varie parti del mondo, alcuni nomi da celebrare come sarà Margarethe von Trotta con il suo lavoro stilisticamente tanto sottile sul nostro tempo, protagonista del Focus «Sante, rivoluzionarie e filosofe» (domenica 9 novembre all’Istituto tedesco, Borgo Ognissanti, ore 10.30) riflessioni sui film che mettono in scena Rosa Luxemburg, Hannah Arendt, Hildegard von Bingen e le tematiche che le riguardano. E Marguerite Duras che ha segnato in modo indelebile un certo linguaggio, di cui si festeggiano i cento anni dalla nascita. E ci concentreremo su
Lorenza Mazzetti: solo in questi ultimi anni è riemerso il suo nome, ben conosciuta nei libri di cinema, come si fosse aperto all’improvviso uno scrigno. Ogni volta promette nuove magie. Il suo nome è leggendario perché non solo lanciò internazionalmente il free cinema con i suoi primi film, ma fu anche l’unica donna del gruppo composto da Lindsay Anderson, Karel Reitz, Tony Richardson. Ma questa ragazzina che arrivava dall’Italia non era una innocua presenza, lei praticamente afferrò il cinema per la gola e lo costrinse a tirare fuori la sua anima. A Londra città emersa dal dopoguerra, riuscì a trovare forse in quello smog, nei lugubri docks il buio che serbava dentro di sé per la sua giovinezza sconvolta dalla guerra. Aveva avuto un’infanzia non come le altre, passata nella villa in Toscana tra scienziati, artisti futuristi, intellettuali e geni (come il cugino Albert Einstein che talvolta veniva in visita dall’America), e nel ’44 era scampata alla strage insieme alla gemella, dello zio e di tutta la sua famiglia, vicende che raccontò nel libro “Il cielo cade”, uscito nel ’62 su segnalazione di Zavattini e poi ristampato da Sellerio nel 2009.
Arrivata a studiare Belle arti a Londra, seppe di essere rimasta senza la sua eredità perché il patrimonio lasciato dagli zii era svanito per speculazioni sbagliate del tutore. Senza altro sostentamento che la sua cultura assorbita, il suo camminare oltre le righe, scopre il buio (l’inferno, dice, nebbia, pioggia e perbenismo, l’underground inteso come metropolitana). Ma come insegnano tutti i registi, bisogna diventare ladri di cinema e così fece lei afferrando tutto quello che le serviva per mettere in scena il suo fantasma di Kafka “K” («io e lui abbiamo un punto in comune, il terrore») e “Together” dove la frazione immagine e parola prende forma con due personaggi sordomuti girovaghi in città bersagliati da una banda di rumorosi ragazzini (i film sono in programma al festival lunedì 11). Intanto faceva nascere il free cinema che tanto avrebbe cambiato lo sguardo del cinema in Europa. «Non sarebbe nata la swinging London senza il free cinema, ci diceva, quando arrivai c’erano solo gli Edwardians con i colletti di velluto. La rivoluzione è stata dare la voce a quelli che suonavano nelle cantine, il free jazz, da lì sono nati i Beatles con l’influenza di Elvis presley che traghettava la musica nera. Ma ormai il conformismo imperava non c’era più solidarietà nella società, tutto era tornato come prima, coperto da self control. E allora sono venuti fuori gli «arrabbiati».
Ma tutti i racconti che ci ha fatto di quel periodo, le invenzioni e le amicizie, assumono una valenza esplosiva leggendo”Diario londinese”(Sellerio) dove emerge una giovinezza da lei stessa occultata a lungo perché, diceva, i traumi della guerra dovevano esplodere prima o poi in qualche modo. E infatti a un certo punto è calato il silenzio, ci sono voluti parecchi anni di oblio per riportarli alla luce. Il libro riceverà a Firenze il premio Gilda del festival come «il più bel libro di cinema pubblicato nel 2014, preziosa introduzione a un episodio della storia del cinema in anni di grazia artistica e creatività diffusa
Così realizzati con sguardo fanciullesco, con una creatività non domata appaiono i suoi quadri, l’«Album di famiglia, diario di una bambina sotto il fascismo», dove sono ritratti gli zii, il cugino Albert ritratto sull’altalena nel giardino della villa in Toscana. E poi gli esponenti del free cinema, lo scorbutico Anderson, Richarson e Reitz che anche lui aveva avuto i familiari uccisi ad Auschwitz ma non ne aveva mai parlato così come lei non aveva raccontato a nesusno dei suoi. E Denis Forman il direttore del British Film Institute (che le diede subito credito illimitato, «l’angelo che mi permise di montare il film»)

IL FESTIVAL

L’Origine del mondo è il sottotitolo del 36° festival di Cinema e donne di Firenze (6-11 novembre) diretto da Maresa d’Arcangelo e Paola Paoli che prosegue la serie dei 50 giorni di Festival all’Odeon. L’edizione di quest’anno offre una cornice al lavoro di tante donne che realizzano film in vari paesi del mondo. Tra queste alcune celebrità, i punti di riferimento riconosciuti come Margarethe von Trotta con il suo trittico sulle storie eccezionali – Hildegarde von Bingen, Rosa Luxemburg e Hannah Arendt – o la celebrazione di Lorenza Mazzetti con i suoi libri e i film fondanti il free cinema inglese. In programma le sperimentatrici del Québec come Micheline Lanctôt docente di cinema all’Università di Concordia che sarà premiata con il Sigillo della Pace, le registe svedesi al centro di una nuova corrente di cinema: Karin Falhén, Maud Nicander e Kristina Lindström autrici di «Palme» (Sigillo della Pace 2014 per il documentario). Inoltre autrici dall’Olanda, dal Portogallo e poi le italiane (Costanza Quatriglio), Silvia Lelli con il suo sguardo sulle origini del movimento di cinema e donne. E i saggi delle scuole di Colonia e del Belgio. Si torna infine alle origini del mondo con «India Song» di Marguerite Duras nel centenario della sua nascita.