I poteri occulti ci sono, ma c’è anche la capacità di farseli alleati e di consolidare antiche alleanze col mondo delle banche e dell’impresa e con l’alta burocrazia. Una capacità manovriera che risalta a fronte dei pessimi risultati dell’azione di governo soprattutto in ambito economico.

Enrico Letta fu ruvidamente sloggiato con la più disinvolta delle motivazioni: «Non è capace». Renzi promise mari e monti ma oggi siamo messi così, alla vigilia di una manovra che inasprirà ulteriormente la pressione fiscale sul lavoro dipendente (al solito) e in particolare sul pubblico impiego (al solito), con tutti gli indicatori (debito pubblico, disoccupazione giovanile e femminile, divario nord-sud, produttività) ad attestare un disastro.
È più che probabile che tutte le postazioni utili per una campagna martellante a favore del Sì siano già state mobilitate, in Italia e all’estero. E non è vero che tra l’economia (in coma) e la «riforma» costituzionale non ci siano legami. A questo punto ce n’è almeno uno, molto forte. Proprio il fallimento totale della politica economica del governo. È vero che le «riforme» le ha volute in primo luogo Giorgio Napolitano, sul quale ora il gentiluomo Renzi scarica ogni responsabilità. Ma non si capirebbe la ferma determinazione a devastare l’assetto costituzionale per consegnare al governo un potere blindato se non si considerasse la catastrofica performance dei Padoan e dei Poletti, dei Guidi e dei Calenda.

Un governo non può affidarsi solo ai cinguettii e alle battute di spirito e nemmeno puntare tutto sulla normalizzazione militare della televisione pubblica. Quando le chiacchiere stanno a zero – perché le tasse schiacciano, i salari stentano e il lavoro manca; perché la corruzione dilaga e le spese, anche in deflazione, aumentano – c’è una sola via per rimanere abbarbicati alla poltrona: cambiare le regole del gioco e fare del presidente del Consiglio un capo che tutto decide e tutto controlla. Anche se – come già accade – raccoglie il consenso di una sparuta minoranza del paese.
Ad ogni modo è chiaro che dalle parti di palazzo Chigi la paura fa novanta. Perciò si rimanda il voto referendario il più possibile e si ripudia il modello eroico del leader che «ci mette la faccia». Se si potesse, si farebbe precipitosamente marcia indietro. Non potendo, si confida nell’aiutino degli amici.

Immaginiamo il signor Münchau intento a comporre il suo diligente e fantasioso editoriale apocalittico. Quando il gioco si fa duro, anche la decenza è un lusso. E se il buon giorno si vede dal mattino, chissà che cosa ci aspetta nei prossimi mesi tra iperboli e minacce, censure e ricatti, balle, promesse e intimidazioni.

Sennonché, si sa, il diavolo non è molto bravo a fabbricare i coperchi. O forse è più simpatico di quel che si pensi, e in questo caso si è voluto divertire alle spalle del Matteo nazionale. Per almeno due ragioni l’aiutino di Münchau rischia di giocargli un brutto tiro. Intanto è ridicolo, non sta né in cielo né in terra che se il governo cade l’Italia esce dall’euro e l’Europa crolla. Non è detto nemmeno che si apra una lunga fase di instabilità, perché persino questo parlamento potrebbe trovare un accordo su una legge elettorale decente e permettere finalmente al paese – dopo dieci anni – di votare in elezioni legittime. Col rischio, certo, che le vinca Grillo, e anche di questo dovremmo ringraziare Renzi e il suo Pd. Ma col risultato, se non altro, di liberarci dall’incubo di un abominio costituzionale concepito per puntellare la dittatura della prepotenza, della menzogna e della rapace incapacità.

Ma poi è l’argomento stesso del Financial Times a rivelarsi un micidiale boomerang. Bisognerebbe votare Sì non perché la «riforma» valga qualcosa, ma per evitare che Renzi vada a casa, con le presunte conseguenze che ne deriverebbero. Tutto questo proprio perché l’Italia è sull’orlo del baratro. Testualmente: perché «il governo Renzi ha fallito, non è riuscito a farla finita con gli scandali della corruzione né a rimettere in ordine l’economia del paese».
Come dire: salvare il soldato Renzi perché è un inetto e poi pregare affinché il suo governo riesca in futuro là dove sinora ha miseramente fallito.

Paradossale e curioso. È probabile piuttosto che qualcuno si chieda se davvero vale la pena di correre in soccorso di chi ha saldamente trattenuto il paese nell’ultimo vagone della carovana europea, dissipando (a beneficio dei soliti noti) gli enormi sacrifici imposti al lavoro e ai bassi redditi dal governo Monti. E se sia il caso, per salvarlo, di scassare addirittura la Costituzione.
Chissà come stanno effettivamente le cose, se si tratta del classico autolesionismo di chi pretende di vincere a tutti i costi o se qualcosa di più complicato bolle in pentola. Sta di fatto che, al posto di Renzi e dei suoi ottimi ministri, di un aiuto così avremmo fatto volentieri a meno.