Dal tragico fungo atomico di Hiroshima e Nagasaki a quelli molto più leggeri e pop nel film-cult Matango di Ishiro Honda nel 1963, fino a quello animato e lisergico in Il fantastico mondo di Paul, la figura simbolica del fungo è ed è stata sempre molto presente nell’immaginario nipponico. Ma ce ne uno, reale più che mai, la cui raccolta e consumo si lega con la mappa geopolitica della contemporaneità, mettendo in risalto la fitta rete economica, ma anche ecologica e di resilienza che caratterizza il mondo globalizzato, nel bene e nel male. Il fungo in questione è il Matsutake, prelibatezza elitaria che viene di solito consumata nell’arcipelago a partire dall’autunno e nei mesi seguenti e che da centinaia di anni è uno delle pietanze più ricercate in Giappone.

Non è solamente un cibo ricercato che può arrivare a costi anche di centinaia di euro per esemplare, ma ha una particolare importanza quando viene donato in occasione di matrimoni o di altre celebrazioni. La capacità di questo fungo di crescere dove altre forme di vita non riuscirebbero a farlo, dopo il disastro causato dalla bomba sganciata su Hiroshima ad esempio, il Matsutake è stato fra i primi segnali di vita ad apparire in un paesaggio tragicamente alieno, lo rende inoltre un simbolo di rinascita e di rigenerazione.

Ritornando al lato puramente alimentare, in alcuni ristoranti tradizionali di Kyoto, questo fungo viene presentato quasi come fosse un diamante o un prezioso gioiello e l’apprezzamento del cibo comincia, come molto spesso succede nella cucina nipponica di un certo rango, ben prima che l’alimento tocchi la bocca di chi lo mangia.

La parte visiva e la disposizione in cui questo fungo viene presentato nel piatto e soprattutto il profumo da esso emanato giocano una parte importantissima nel processo di «degustazione» del Matsutake, il profumo è esso stesso sinonimo di autunno e dell’arrivo delle stagioni fredde più in generale.

Non è possibile coltivarlo e, a causa di una malattia che negli ultimi decenni ha colpito l’albero su cui di solito cresceva in Giappone, per coprire la sempre forte domanda ci si è cominciati a rivolgere a prodotti d’importo, da Cina, Corea e America del nord.
Questo cambiamento iniziato da un elemento molto specifico e particolare come l’infezione di un albero ha dato il via ad un vero e proprio mutamento sociale ed interspecie che ha investito zone molto distanti dal Giappone.

Questi percorsi salvifico-economici e le loro ripercussioni a livello ecologico sono indagati dalla studiosa Anna Lowenhaupt Tsing in The Mushroom at the End of the World (2015), di particolare interesse è il caso degli immigrati e rifugiati dall’Asia Sud Orientale che abitano la Catena delle Cascate fra gli Stati Uniti e Canada per cui la raccolta di Matsutake è diventata una risorsa economica e strategica non indifferente. Qui questa attività/lavoro permette a differenti etnie infatti di creare comunità e di trovare sostentamento senza dover per questo cedere all’assimilazione culturale o a lavorare nelle fabbriche, permettendo loro quindi di vivere con un certo grado di libertà e più in prossimità a come erano usi fare nei rispettivi paesi.

L’idea dell’autrice è quindi che partendo dagli esempi forniti dal fungo Matsutake, pur in un mondo plasmato e permeato dal capitalismo sia ancora possibile trovare delle sacche di libertà temporanea proprio sfruttando delle anomalie interne al «sistema» o usando, nei buchi neri lasciati dalle mappature globalizzanti, delle tattiche di resistenza affini a quelle di cui parlava Michel de Certeau.

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