Lavorare con lentezza. Potrebbe essere questo il motto dei trevigiani Norman, attivi da un decennio e da poco tornati con il secondo album La grandine!, la cui gestazione è durata tre anni tra scrittura e produzione. Lavoro curatissimo, in cui i testi sognanti e intimisti si accompagnano ad arrangiamenti che si muovono tra rock ed elettronica, seguendo la lezione di autori come Alessandro Grazian o Non Voglio che Clara (band con cui non a caso i Norman condividono il batterista, Igor De Paoli). Dentro c’è molta della tradizione del cantautorato italiano, da Paolo Conte a Bennato, ma risuonano anche nomi più recenti, come Capossela, Estra, Scisma, Afterhours. E negli undici brani il disco rivela volti e umori molto diversi, in un lavoro che però resta molto compatto.

«Pensa che siamo partiti con l’idea di fare un disco velocemente – spiega Massimiliano Bredariol, cantante dei Norman ma attivo come polistrumentista anche con Artemoltobuffa, Valentina Dorme e Radiofiera – Poi ci siamo rallentati molto, ma passata la prima fase di frustrazione è cominciata quella della libertà. Alcune canzoni, per dire, le abbiamo create direttamente in studio, non erano neanche concepite per l’album. E la cosa che mi piace di più è che nonostante sia così vario l’album suona molto coeso, abbiamo un’identità coerente».

«C’è di sicuro – aggiunge Bredariol – il tentativo di andare ad arrangiare le cose con un gusto poco italiano, perché secondo me il problema del cantautorato per come è inteso da sempre in Italia è che la musica risulta sempre in secondo piano rispetto alla parola. Abbiamo avuto la fortuna di lavorare con un ottimo produttore, Davide Dall’Acqua, e poi di aver preso a bordo nella band Lorenzo Tomio, un compositore che si occupa di colonne sonore, entrambi hanno fatto sì che il disco suonasse in questo modo». Tra gli ospiti chiamati a collaborare nell’album c’è Paola Colombo, cantante dei Dilaila, e Thomas Zane, frontman dei geniali Kleinkief (mentre l’evocativa illustrazione di copertina è opera di Matteo Cremona, fumettista della Bonelli).

La grandine!, lavoro in bilico tra la serenità stralunata delle abitudini domestiche e l’apocalisse che spesso ci coglie come un imprevisto inesorabile, registra un cambio di etichetta. Il disco è infatti uscito per Dischi Soviet Studio, mentre il precedente (e bellissimo) La rivolta dei bambini blu usciva per Fosbury, piccola ma attivissima label cofondata dallo stesso Bredariol (che ha pubblicato raccolte di gruppi forse poco conosciuti ma validissimi, come En Roco, Public, unorsominore). «Quando siamo partiti con Fosbury abbiamo sfruttato in pieno le possibilità che dava internet rispetto alla promozione della musica» spiega, «e tra il 2002 e il 2005 noi eravamo una delle etichette che riuscivano a fotografare bene il presente. Abbiamo sempre cercato di dare alle band l’opportunità di fare cose belle, ma abbiamo sempre potuto investire poco su tutti. Il mondo della discografia indipendente è cambiato molto negli ultimi anni, e noi abbiamo smesso più che altro di restare aggiornati rispetto alle nuove formule di promozione, e tenere in piedi la cosa tanto per fare ci dispiaceva. Quindi abbiamo deciso di chiudere l’esperienza con una gran festa, come noi tante etichette del tempo hanno chiuso. E questo insomma ci dice che ci sono cicli che si aprono e si chiudono».

Tra i brani che compongono La grandine! uno dei più curiosi è Gino Rossi, dedicato al pittore veneto legato a Arturo Martini e a Modigliani, attivo tra Parigi e Venezia e poi ricoverato nel manicomio di Sant’Artemio a Treviso (che durante il primo conflitto mondiale accolse molti soldati), sconvolto dalla brutalità del fronte durante la Grande Guerra, eppure attivo nella pittura fino alla morte.

«Il manicomio di Sant’Artemio l’ho conosciuto, ci ho lavorato per un periodo prima che chiudesse e ci abitavo vicino» racconta il leader dei Norman. «Quando ho scoperto la storia di Gino Rossi, imbattendomi in questo posto a suo modo magico, ho deciso di ripercorrerne la vicenda, a modo mio. È la prima volta che mi sono trovato a scrivere di qualcun altro. Ma sono convinto che questa storia andasse in ogni caso raccontata. L’ho sentita come una piccola missione per me».