Il risultato del referendum irlandese di sabato scorso che ha approvato il matrimonio gay «è una sconfitta per l’umanità». Il severo giudizio – una bocciatura senza prova di appello – è arrivato ieri pomeriggio da parte del cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato vaticano, a margine di una conferenza internazionale della Fondazione Centesimus Annus al Palazzo della Cancelleria a Roma.

«Non possiamo parlare solo di una sconfitta dei principi cristiani, ma di una sconfitta dell’umanità», ha spiegato Parolin, aggiungendo di essere «rimasto molto triste per il risultato». Il segretario di Stato ha fornito anche l’interpretazione «autentica» dell’articolo, all’indomani del referendum, dell’Osservatore Romano in cui, dando conto del dibattito che si era aperto fra le gerarchie ecclesiastiche (irlandesi e non solo), si parlava di «sfida da raccogliere per tutta la Chiesa». La «sfida», per Parolin, non è la supina accettazione del risultato, ma l’evangelizzazione: «Come ha detto l’arcivescovo di Dublino, mons. Martin, la Chiesa deve tenere conto di questa realtà, ma deve farlo nel senso che deve rafforzare tutto il suo impegno e tutto il suo sforzo per evangelizzare anche la nostra cultura», ha precisato il segretario di Stato. «La famiglia rimane al centro e dobbiamo fare di tutto per difenderla, tutelarla e promuoverla, perché ogni futuro dell’umanità e della Chiesa, anche di fronte agli avvenimenti di questi giorni (ovvero il voto irlandese, n.d.r.), dipende dalla famiglia». «Colpirla – ha concluso – sarebbe come togliere la base dell’edificio del futuro».

Quello di Parolin non è un contributo fra i tanti, ma un intervento che ha un grande peso e che in un certo senso detta la linea. Scelto come segretario di Stato da Bergoglio – al posto di Bertone – il cardinale è uno dei prelati di Curia più vicini a Francesco, autorevole interprete del pensiero del papa. E del resto il pontefice, eccezion fatta per la ormai «storica» frase pronunciata sull’aereo di ritorno dalla Giornata mondiale della Gioventù di Rio nell’estate 2013 («Se una persona è gay e cerca il Signore e ha buona volontà, chi sono io per giudicarla?»), non ha mai mostrato segnali di particolare apertura sul tema delle unioni omosessuali. Anzi ha più volte ribadito i concetti della dottrina cattolica, mettendo in guardia – l’ultima volta aprendo l’Assemblea generale della Cei lo scorso 18 maggio – dalle «colonizzazioni ideologiche che tolgono l’identità e la dignità umana». E a Manila, a gennaio, aveva ammonito: «La famiglia è anche minacciata dai crescenti tentativi di alcuni per ridefinire la stessa istituzione del matrimonio mediante il relativismo», intendendo unioni di fatto ed unioni omosessuali.

La questione verrà affrontata ad ottobre, in occasione dell’assemblea ordinaria del Sinodo dei vescovi sulla famiglia. La segreteria generale si è riunita in questi giorni e nelle prossime settimane verrà pubblicata la traccia di lavoro (Instrumentum laboris). Ma anche su questo fronte le premesse non sembrano andare in direzione di rivoluzione copernicane. Il punto di partenza è il solito: «Non esiste fondamento alcuno per assimilare o stabilire analogie, neppure remote, tra le unioni omosessuali e il disegno di Dio sul matrimonio e la famiglia. Nondimeno, gli uomini e le donne con tendenze omosessuali devono essere accolti con rispetto e delicatezza. A loro riguardo si eviterà ogni marchio di ingiusta discriminazione».