Stanze sporche e disadorne, a parte i «decori» delle chiazze di muffa, letti a castello attaccati gli uni agli altri come in galera, scarafaggi annidati nei materassi, fili elettrici penzolanti e scoperti, bagni rotti o senza chiusura, senza acqua calda. È in questa condizione che vive una parte dei rifugiati e richiedenti asilo arrivati a Roma, città che continua a essere – anzi, lo è sempre più – il nodo centrale della rete nazionale dell’accoglienza.

Negli ultimi dieci mesi le presenze di migranti – non con «cartellino giallo», cioè schedati a Lampedusa e negli altri hotspot con la sigla Cat2 di «migrante economico», da inserire nei Cie e poi respingere, ma quelli bollati come Cat1 di «asylanten», i più vulnerabili, da accogliere e assistere, eventualmente ricollocare – sono più che raddoppiati nel Lazio, contando sia i posti del circuito considerato ordinario sia quelli «straordinari».

I richiedenti asilo sono attualmente nell’area metropolitana 4.063 e in tutta il Lazio 7.822. E ancora oggi alcune delle cooperative appartenenti ai due principali consorzi coinvolti nell’inchiesta Mafia Capitale – Eriches 29 e Domus Caritatis-Casa della Solidarietà – gestiscono molti servizi di accoglienza.

In base alle carte dell’inchiesta penale, partecipavano all’accordo di spartizione della torta tra Salvatore Buzzi (Eriches 29) e Francesco Ferrara (La Cascina). Naturalmente sono cambiati i presidenti, alcune coop hanno ora un commissario giudiziale a dirigerle. Ma su tutto il sistema, basato essenzialmente su gare al massimo ribasso, grandi strutture e scarsa trasparenza, è calata la grande mannaia della prorogatio: la proroga che mantiene in vita ciò che funziona anche male in assenza di una programmazione più innovativa.

A due anni di distanza dalle intercettazioni in cui Salvatore Buzzi diceva che con l’accoglienza degli stranieri e dei minori non accompagnati «si guadagna più che con la droga» e a quattro mesi dall’insediamento della nuova giunta in Campidoglio, non è cambiato quasi niente dei meccanismi che hanno portato a quell’intreccio perverso tra cattiva amministrazione, politiche emergenziali e spartizione illecita delle risorse che la Procura di Roma ha chiamato «Mondo di mezzo». Lo certifica l’inchiesta realizzata dall’associazione Lunaria, il dossier – intitolato, appunto, «Il mondo di dentro», che sarà presentato oggi pomeriggio all’interno del Salone dell’Editoria Sociale a Porta Futuro, nel quartiere di Testaccio – prende in esame la documentazione giudiziaria e amministrativa disponibile, i bandi di gara, relazioni e audizioni parlamentari dell’Anac di Cantone, e le testimonianze di prima mano di operatori e migranti, in forma anonima, andando a visitare le strutture di accoglienza insieme ai volontari della campagna LasciateCientrare. L’intento del rapporto non è denunciare o scandalizzare, ma individuare, per l’appunto, i meccanismi di proliferazione della «malaccoglienza», per proporre i correttivi che, fin qui a quanto pare, la politica da sola non è riuscita a mettere in atto.

Nella provincia di Roma il numero delle strutture «temporanee» di ricovero dei rifugiati e richiedenti asilo, anche per minori non accompagnati – per lo più ex caserme, ex fabbriche, alberghi e altri edifici non adatti all’ospitalità quanto al contenimento – sono più che raddoppiate rispetto al novembre 2015.

Visto che degli 8 mila comuni italiani solo una esigua minoranza (339 comuni, 29 province, 8 unioni comunali in 10 regioni) finora partecipa al bando Sprar, il Comune di Roma con i suoi 51 centri risulta in prima fila. Ma ciò non significa che si sia affermato il modello di «accoglienza diffusa nel territorio» decantato dal capo dipartimento del Viminale per le libertà civili e l’immigrazione Mario Morcone. Tre di questi centri romani superano i 150 posti, in pieno contrasto con ciò che dovrebbero essere: piccoli progetti integrati di inserimento di pochi nuclei familiari, com’è quello della cooperativa Promoidea per donne e bambini in una villetta al Nomentano. Invece i grandi centri preesistenti, come il Cara, restano sovraffollati luoghi dove si vive anche un anno o un anno e mezzo parcheggiati nel limbo della relocation, in attesa cioè che qualche paese europeo si decida ad accettare la sua quota di rifugiati per cominciare una nuova vita.

Sono poi aumentati a Roma i Cas, i centri di accoglienza straordinari, che fanno capo direttamente alle prefetture e ospitano il 77% dei richiedenti asilo e protezione internazionale. Il dossier segnala che alcuni bandi prefettizi non hanno ricevuto offerte sufficienti a coprire i posti richiesti a Roma: con base d’asta che il Viminale fissa a 35 euro pro capite al giorno più Iva, tutto incluso, solo le mega strutture gestite in economia possono rientrare nei costi. E così i prefetti finiscono per ricorrere sempre più ad affidamenti diretti, senza tanto sottilizzare sulla qualità dei servizi resi.

Lunaria per scardinare questo «circolo vizioso» propone di stabilire standard minimi basati sulla qualità e sulla piccola dimensione, un rafforzamento del team di monitoraggio, nazionale e locale, controlli dei servizi frequenti e non annunciati, una programmazione triennale partecipata.

Essenziale, lo segnala anche la Cgil, per evitare il ricatto della perdita di posti di lavoro è poi l’attivazione obbligatoria – ora è facoltativa – della «clausola sociale»: il passaggio degli operatori da un ente gestore all’altro in caso di revoca dell’appalto per mancata garanzia degli standard minimi.