Altre novità in arrivo nel pianeta-giustizia: il 3 settembre il ministro Andrea Orlando ha istituito due commissioni per elaborare la riforma dell’ordinamento giudiziario e quella del Csm, l’organo di autogoverno di giudici e pm. Chiediamo a Rita Sanlorenzo, ex segretaria nazionale di Magistratura democratica, per oltre vent’anni giudice del lavoro e ora sostituto procuratore in Cassazione, una valutazione sulle condizioni oggi e sulle prospettive future della giustizia italiana.

Dottoressa Sanlorenzo, ordinamento giudiziario vuol dire valutazione e carriere dei magistrati. Cosa dovrebbe cambiare?

Per risponderle è necessario fare un bilancio delle riforme Mastella di nove anni fa, che hanno già profondamente cambiato la magistratura: l’attenzione ai percorsi di carriera, il nuovo verticismo negli uffici, l’enfatizzazione del ruolo del dirigente hanno determinato una sorta di mutamento antropologico nella categoria. Esiste un nuovo conformismo diffuso, che non si sconfigge con una diversa formulazione delle circolari del Csm sull’accesso ai ruoli dirigenti. La magistratura avrebbe bisogno della riscoperta di coscienza critica e capacità di denuncia, anche al proprio interno, in contrasto con gli individualismi.

Invece si parla ossessivamente quasi solo di efficienza e “numeri”.

Per questo servirebbe un pensiero critico che esamini ciò che è successo in questi anni. La sede in cui ho lavorato sino a poco fa, Torino, è indicata come modello nazionale di efficienza: è vero che ha una situazione ottima nel civile, ma presenta arretrati ingestibili nel penale. Si è dato a un settore per togliere a un altro. Non solo: il mito dell’efficienza fa sì che vengano premiati con nomine a posti prestigiosi magistrati che hanno ottenuto lo smaltimento delle pendenze, senza che si affronti mai il problema della qualità del loro lavoro. Il giudizio disciplinare sembra che abbia ad oggetto ormai solo il mancato rispetto dei termini di deposito delle sentenze: negli uffici, chi fa le spese di questo trend sono soprattutto i più giovani, gli ultimi arrivati. E la tanto sbandierata nuova responsabilità dei dirigenti non ha impedito al Csm di confermare praticamente tutti nei ruoli apicali.
A proposito di Csm, nei propositi di riformarlo vede più opportunità o rischi?

Guardo con apprensione a ogni rinnovata attenzione della politica verso il Csm. Non so come ci si muoverà, vorrei solo che si sfatasse la cattiva vulgata per cui la magistratura ha bisogno di sottrarsi al suo stesso autogoverno. Non mi rassicurano le intenzioni di spostare il baricentro verso un maggior peso della politica, che mostra in molti casi di muoversi all’interno del Csm secondo logiche clientelari. Un magistrato che chiede una raccomandazione a un collega è malcostume, ma se la chiede a un politico è una ferita all’indipendenza.

È un luogo comune individuare nelle correnti il male principale dell’autogoverno: Cantone, che a una corrente è iscritto, le ha definite di recente un «cancro», ed è stato durissimo con Md.

Ormai siamo abituati alle dichiarazioni di Cantone che, pur restando in magistratura, ritiene di aver titolo per spaziare a tutto campo oltre i suoi ambiti funzionali. Ricordo le critiche a Rosy Bindi sull’affare De Luca, e ancor più quando si è detto «indignato» per la condanna inflitta all’Italia della Corte di Strasburgo per i fatti della Diaz e la mancata introduzione dei reati di tortura. C’è un flusso di esternazioni che ormai contribuiscono alla costruzione del «personaggio Cantone», che certo ha a cuore la propria nuova immagine piuttosto che il bene della magistratura, i cui problemi vengono liquidati con una retorica degna della peggior polemica politica. Slogan generici e populismo non servono però a modificare nessuno dei mali che indicano. Servirebbero una critica circostanziata e un’analisi precisa, in grado di indicare anche le colpe della politica rispetto a tali degenerazioni. Ma non penso che sia quello lo scopo di certi “botti” mediatici. E su Md, Cantone si ferma al macchiettismo sulle toghe rosse che usano i processi per fare “giustizia di classe”: chissà cosa ne pensano i tanti colleghi di Md che con lui hanno combattuto le mafie, e i tanti altri che hanno fatto il proprio dovere negli uffici.

Dopo gli anni turbolenti di Berlusconi, ora sembra regnare una sorta di pax renziana fra politica e magistratura. È così?

Il caso di Cantone mi sembra emblematico di un nuovo atteggiarsi reciproco. Si rafforza la stigmatizzazione dei magistrati che passano alla politica, ha successo invece il ruolo del “tecnico” prestato al governo (centrale o territoriale) per fungere da garante qualificato, per dare una patente di legalità all’agire amministrativo. E “tecnico” ama definirsi il sottosegretario alla giustizia Ferri, già segretario di Magistratura indipendente, rimasto al governo pur dopo essere stato colto nella non certo istituzionale attività di fare campagna elettorale per i candidati al Csm della sua corrente. La sua permanenza al governo è stata definita in un primo momento dal premier come indifendibile, poi non se ne è fatto più nulla: ecco come la politica si occupa delle degenerazioni correntizie. Bisogna essere chiari: svolgere ruoli cosiddetti “tecnici” non impedisce l’abbandono della terzietà, e può significare un oggettivo supporto al potere in carica.