Ieri mattina i cardinali e i monsignori della Curia romana sono andati nella Sala clementina del Palazzo apostolico vaticano per i consueti auguri di buon Natale da parte del papa, ma si sono sentiti rivolgere da Francesco un lungo discorso di inusuale durezza, sia nei contenuti sia nel lessico, come tradivano i volti inespressivi – inesorabilmente immortalati dalle telecamere del Circuito televisivo vaticano – di chi occupava le prime file, da Sodano a Bertone, da Ruini a Fisichella.

Niente bilancio dell’anno che si avvia alla conclusione né generico augurio per quello che sta per cominciare – come era stato il breve discorso del 2013, quando forse Bergoglio non aveva ancora una conoscenza approfondita della Curia –, ma un lungo «catalogo delle malattie curiali» (ed ecclesiali), tutte generate da una stessa patologia collocata in cima all’elenco: la «patologia del potere». È la malattia «di coloro che si trasformano in padroni e si sentono superiori a tutti e non al servizio di tutti», «delle persone che cercano insaziabilmente di moltiplicare poteri e per tale scopo sono capaci di calunniare, di diffamare e di screditare gli altri, perfino sui giornali e sulle riviste».

Dalla «patologia del potere», alla malattia dell’accumulazione di «beni materiali, non per necessità, ma solo per sentirsi al sicuro; e dell’«alzheimer spirituale» di coloro «che hanno perso la memoria del loro incontro con il Signore» e «dipendono completamente dal loro presente, dalle loro passioni, capricci e manie».

Dall’analisi delle 15 «malattie curiali» diagnosticate da Bergoglio, emerge l’immagine di una Curia divisa, competitiva, arrivista, indifferente e pettegola. Nei Sacri palazzi – e per estensione nella Chiesa –, dice Francesco, c’è «la malattia della rivalità e della vanagloria», a causa della quale «l’apparenza, i colori delle vesti e le insegne di onorificenza diventano l’obiettivo primario della vita». C’è «la malattia delle chiacchiere, delle mormorazioni e dei pettegolezzi», che diventa «seminatrice di zizzania» e anche «omicida a sangue freddo della fama dei propri colleghi e confratelli, è la malattia delle persone vigliacche che non avendo il coraggio di parlare direttamente parlano dietro le spalle» («il fuoco amico dei commilitoni è il pericolo più subdolo», dice in un altro passaggio). C’è la malattia dell’adulazione, «di coloro che corteggiano i superiori, sperando di ottenere la loro benevolenza, sono vittime del carrierismo e dell’opportunismo», «sono persone che vivono il servizio pensando unicamente a ciò che devono ottenere e non a quello che devono dare, persone meschine, infelici e ispirate solo dal proprio fatale egoismo». E c’è «la malattia dell’indifferenza verso gli altri», si perde «la sincerità e il calore dei rapporti umani», addirittura «per gelosia o per scaltrezza si prova gioia nel vedere l’altro cadere».

Riecheggia il titolo di un libro di Eugen Drewermann, teologo e psicoanalista tedesco – prete per oltre 30 anni, nel 2005 lasciò la Chiesa cattolica –, Funzionari di Dio, quando Bergoglio parla di una Curia e una Chiesa meno profetica e sempre più «contabile» e «commercialista» del sacro: la «malattia dell’impietrimento» di coloro che «si nascondono sotto le carte diventando macchine di pratiche e non uomini di Dio». E la «schizofrenia esistenziale» di quelli che «vivono una doppia vita, frutto dell’ipocrisia tipica del mediocre e del progressivo vuoto spirituale che lauree o titoli accademici non possono colmare», «una malattia che colpisce spesso coloro che, abbandonando il sevizio pastorale (il riferimento ai prelati di Curia è esplicito, ndr), si limitano alle faccende burocratiche, perdendo così il contatto con la realtà, con le persone concrete. Creano un loro mondo parallelo, dove mettono da parte tutto ciò che insegnano severamente agli altri e iniziano a vivere una vita nascosta e sovente dissoluta». Un’omissione, tuttavia, si nota nel discorso di Bergoglio. E se ad alimentare la «patologia del potere», più che i peccati degli uomini, non fosse la Curia stessa, ovvero un organismo pensato e strutturato in modo burocratico, centralistico e verticistico?