Più volte ho usato nei miei scritti, per intuizione più che per analisi compiuta, l’aggettivo «marcescente» a definire la fase attuale del capitalismo finanziarizzato. Intendendo quel qualificativo nel senso di ciò che, pur affetto da putredine, sopravvive annunciando un possibile esito di tipo totalitario.

Questa premessa per dire che, sebbene non sia una rivelazione (ne avevano parlato alcuni ottimi giornalisti, tra i quali Lirio Abbate dell’Espresso), Mafia Capitale squaderna sotto i nostri occhi, in tutto il suo lerciume ed orrore, cosa sia divenuta la politica al tempo della lunga crisi economica, che è anche crisi della democrazia, della rappresentanza, della moralità pubblica, perfino della nostra capacità di analisi.

Un tal ramificato sistema criminale, insinuato nei gangli più vitali della vita politica cittadina, è riuscito a sussumere, in perfetto stile postmoderno, per così dire, finanche ciò che si credeva (e in gran parte era) innovativo e riformatore sul piano giuridico, sociale, politico: dall’inserimento sociale degli ex detenuti alla legge del 1991 sulle cooperative sociali, dal Terzo settore ai temi del mutualismo e dei beni comuni, fino alla questione dell’accoglienza dei migranti e dei rifugiati.

Basta dire come la cupola abbia saputo volgere a proprio vantaggio, con la compiacenza di amministratori, l’art. 5 della legge n. 381 che ho appena citato: quello che conferisce agli enti pubblici, compresi gli economici, e alle società di capitali a partecipazione pubblica la possibilità di stipulare convenzioni con le cooperative sociali «anche in deroga alla disciplina in materia di contratti della pubblica amministrazione». Sussumendo tutto questo e mercificandolo a proprio vantaggio, il sistema mafioso ne ha rovesciato il senso e le finalità, sicché il rischio incombente è che ora siano screditati, agli occhi dell’opinione pubblica, ogni attività nel campo del sociale e perfino chi vi dedica il proprio impegno volontario e gratuito.

Se è fenomenicamente trasversale, un tal sistema è intrinsecamente fascista. E non solo perché ricorre a manovalanza neofascista e perché ai suoi vertici vi sono ben noti fascisti: che lo siano più per ideologia superomista che per biografia neonazista è, nel contesto presente, alquanto irrilevante. Ma soprattutto perché esso si avvale del retroterra costituito dal fascistume «del Terzo millennio», oggi rafforzato dall’alleanza coi leghisti. Fra questo retroterra e la cupola mafiosa sembrano esserci state fino a ieri una certa sinergia e divisione dei compiti, almeno oggettive. Per esempio, si potrebbe sospettare che il pogrom contro il centro di accoglienza di viale Morandi, scatenato, secondo testimoni oculari, da una trentina d’incappucciati di «fascisti del Terzo millennio», avesse come obiettivo non tanto i rifugiati e i minori quanto piuttosto la cooperativa «Un sorriso». Forse perché sfuggita o sottrattasi al controllo della cupola?

In realtà, il blocco fascio-leghista interpreta ed estremizza a suo modo la retorica e la pratica emergenzialiste che caratterizzano l’approccio delle istituzioni al fatto strutturale delle migrazioni, degli esodi, della presenza di popolazioni rom, sinte, camminanti: cioè con la propaganda razzista, le aggressioni, i pogrom, l’infiltrazione in quartieri popolari, allo scopo di strumentalizzarne il disagio e la rabbia onde dirottarli verso i soliti capri espiatori.

Dal canto suo, la cupola mafiosa ha approfittato delle emergenze sociali (riguardanti anche periferie, casa, rifiuti, trasporti, salute), lasciate incancrenire per insipienza o disegno deliberato, al fine di allungare i suoi tentacoli sugli appalti relativi alla gestione dell’accoglienza di migranti e rifugiati come dei campi-rom. A proposito di questi ultimi, non solo un tal sistema di segregazione spaziale e sociale – vera specialità italiana – è stato condannato dalle più varie organizzazioni internazionali, ma se ne è anche analizzato e denunciato il lucroso business: fra il 2013 e il 2014 sono stati pubblicati «Segregare costa», l’indagine di OsservAzione (condotta con Lunaria e altre associazioni) e «Campi nomadi spa», studio dell’Associazione 21 Luglio.

Ora, intendere la corruzione della Capitale come un suo carattere così intrinseco da essere quasi naturale, quindi affermare scetticamente che, in fondo, «mondo è stato e mondo è», secondo l’adagio popolare. Disquisire se «Er Cecato» sia stato o no organico ai Nar o alla banda della Magliana e quanto meritorio sia stato l’esordio della «29 giugno» e del suo ideatore. Ridurre a semplice clientelismo o consociativismo un tal solido sistema criminale, costituito da una fitta rete di rapporti tra malavita, imprenditori del Terzo settore, mazzieri, mercenari, amministratori pubblici, politici di destra e di sinistra, dirigenti di azienda fino ai vertici di Finmeccanica. Tutte queste propensioni – che si ritrovano anche a sinistra, perfino in quella che si pretende nuova e/o radicale – sono indizio, mi sembra, di scarsa consapevolezza della posta in gioco o di subalternità, almeno psicologica, allo stato di cose presenti; se non di un politicismo di bassa lega, attento più a salvaguardare equilibri politici, peraltro assai fragili, che a prendere atto della catastrofe in cui siamo precipitati, onde trarne lezioni politiche adeguate.

Una sinistra meritevole di questo nome farebbe bene a smetterla di gingillarsi con idiozie come la «guerra tra poveri», rivolgendosi invece a difendere senza indugio i diritti dei penultimi e degli ultimi in assoluto (migranti, rifugiati, rom), a tentare d’impedire il dilagare dell’estrema destra, con paziente lavoro politico nei quartieri popolari e anche con presîdi antifascisti e antirazzisti.

Per citare il Pasolini di un articolo del 1962 su Vie Nuove, «prestarsi in qualche modo a contribuire a questa marcescenza è, ora, il fascismo».