Mentre il Brasile prova in tutti i modi ad agghindarsi dando la caccia a barboni, tossici e meninhos da rua che rischiano di rovinare lo scenario da cartolina del Mondiale, le comunità indigene e contadine dello stato del Parà continuano a protestare contro quella che sarà la terza diga più grande al mondo.

Lontano dai riflettori calcistici, nel cuore della foresta amazzonica, Belo Monte è un progetto faraonico composto da 24 turbine, 2 bacini idrici, un canale di derivazione largo oltre 500 metri e lungo 20 chilometri e una potenza installata di 11.300 megawatt.

Esorbitante il costo complessivo dell’opera: 12 miliardi di euro. La Banca brasiliana di sviluppo Bndes finanzia l’80%, mentre il consorzio incaricato di costruire l’infrastruttura è capitanato dal colosso carioca Odebrecht, già sotto accusa per altri progetti energetici in America latina.

Belo Monte dovrebbe iniziare a operare nel 2015. I suoi impatti saranno devastanti, con la deviazione del fiume Xingu, affluente del Rio delle Amazzoni, e l’inondazione di oltre 500 chilometri di terre fertili, che vuol dire spostamento forzoso di oltre 30mila persone. A rischio è anche la sopravvivenza di circa mille indigeni Kayapó, Juruna e Arara, che da secoli vivono in riva alla «grande curva» del fiume, in prossimità di Altamira.

«Non vogliamo combattere, ma siamo pronti a difendere con ogni mezzo le nostre terre», furono le parole che nel 2009 il leader indigeno José Carlos Arara rivolse all’allora presidente Lula da Silva. Il bacino dello Xingu è la casa di oltre 25mila nativi, appartenenti a diciotto diverse etnie, un patrimonio inestimabile della diversità culturale brasiliana. Dalla savana centrale dello stato di Mato Grosso, il fiume percorre oltre 2mila chilometri prima di sfociare sul Rio delle Amazzoni, attraverso alcune delle aree protette più importanti del gigante sudamericano.

L’idea di costruire una centrale idroelettrica nello stato del Pará risale agli anni ’70, ma soltanto alla fine degli anni ’80 il progetto prese forma. Inizialmente, il mega sbarramento sul fiume Xingu avrebbe dovuto essere composto da cinque dighe in grado di generare fino a 20mila megawatt di energia l’anno. L’impianto avrebbe comportato l’inondazione di 18mila chilometri, mettendo a rischio la sopravvivenza di decine di migliaia di persone. Le proteste fecero ben presto cambiare idea al governo, che nel 2002 presentò il nuovo progetto, il quale riduceva l’ampiezza del bacino idrico. Nella sostanza però gli impatti socio-ambientali rimanevano allarmanti.

Ciò nonostante, l’agenzia brasiliana per l’ambiente – Ibama – concesse la licenza ambientale nel giugno del 2011. Un mese dopo Odebrecht ha iniziato i lavori di costruzione, mentre il governo rifiniva un piano di spostamenti forzati e compensazioni per cancellare con un tratto di penna la presenza di comunità indigene e contadine nella zona. Dall’apertura del cantiere, i lavori sono stati interrotti in più occasioni, soprattutto per le proteste dei nativi che chiedevano di essere consultati, come previsto dalla normativa nazionale e internazionale. Nell’agosto 2012 il tribunale superiore del Parà diede loro ragione, disponendo il blocco immediato del cantiere e obbligando il governo a realizzare una consultazione preventiva dei nativi che «devono dare il loro parere su opere infrastrutturali da realizzarsi nei loro territori». Ma la sentenza rimase sulla carta e i lavori dovranno concludersi a febbraio 2015.

Secondo quanto indicato dall’attuale governo, una volta a regime l’impianto dovrebbe produrre fino a 9mila megawatt di energia l’anno. Una mare di energia che servirà per alimentare l’industria mineraria e le grandi città del sud, soprattutto nello stato di Minas Gerais, sarà veicolata tramite un potente elettrodotto di 2.100 chilometri. Un sistema di tralicci e cavi da 800mila volt che attraverserà mezzo Brasile, invadendo aree protette e territori indigeni.

Nei fatti però l’energia media prodotta non supererà i 5mila megawatt, considerando che nella stagione secca i livelli di acqua saranno così bassi che la diga sarà praticamente ferma. Proprio per questo motivo, si sta già prevedendo un sistema di sbarramenti più piccoli per portare acqua a Belo Monte e permetterle così di produrre energia durante tutto l’anno. Un’operazione questa che non farà che aumentare la devastazione ambientale e i pericoli per le popolazioni locali che, peraltro, non avranno mai accesso all’energia prodotta sui loro territori.

Ufficialmente il numero di persone che dovranno abbandonare le loro case è di circa 20mila, ma in realtà gli impattati dalla grande opera saranno molti di più. I livelli dello Xingu si ridurranno sensibilmente in prossimità della “grande curva”, con conseguenze gravi per la pesca e l’agricoltura che rappresentano le principali attività di sussistenza della zona. Il fiume non sarà più navigabile in quel tratto e i collegamenti fluviali tra i villaggi e le città saranno interrotti. Gli indigeni non potranno più raggiungere Altamira per andare a vendere i loro prodotti al mercato e saranno quindi costretti a trasferirsi in città.

* Re:Common