Il Trapas è una pâtisserie dal carattere retro. I divanetti in pelle e i tavolini in legno si affacciano alle vetrate che riflettono l’azzurro del lungo mare di Atene, all’angolo tra via Paleofalio e via Poseidon. Cappello sulle ginocchia, occhiali abbassati sul naso ed eleganza impeccabile, Vassilis Vassilikos si scusa per il suo italiano: a volte qualche termine gli sfugge. Le dita nodose intrecciate tra loro poggiano sui pantaloni a coste di velluto. Mentre parla fa delle brevi pause, forse per chiamare a raccolte parole e ricordi. Pasolini, Calvino, Balestrini, Roma, Napoli, Torino: ecco cosa ci racconta del suo periodo italiano, terra dove ha trovato rifugio per quindici anni dopo essere stato esiliato dalla Grecia dal regime militare a causa della sua attività politica.

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Nato nel 1943 a Kavala, nel settentrione della penisola, pubblica nel 1967 uno dei suoi romanzi più famosi, Z-L’orgia del potere, opera di denuncia politica ispirata all’omicidio del deputato Lambrakis, da cui Costa Gavras ha tratto il film.

Dove ha imparato l’italiano, signor Vassilikos?

L’ho imparato per strada. Durante il colpo di stato dei colonnelli mi ero rifugiato a Roma e poi a Parigi. Avevo ottenuto una borsa grazie ai miei amici Ignazio Silone e Italo Calvino: Italo era presidente di un comitato che dava aiuto economico agli intellettuali in fuga dalla Grecia. Così affittai una casa a Roma. L’italiano l’ho imparato dalla televisione, per le strade e anche dalla traduzione dal francese del mio primo libro Z, l’orgia del potere.

Che tipo di rapporto percepisce tra la Grecia e l’Unione Europea?

Europa nell’antichità era una bellissima ragazza, rapita da Zeus sotto sembianze di toro e condotta a Creta, dove diede alla luce il Minotauro. Due dei fratelli di Europa, Cadmo e Taso iniziarono a cercarla per tutto il mondo. Il primo fondò la città di Tebe e il secondo diede il nome al luogo dove sono nato, Taso, isola di pini e di sirene. Nel 1992 ho pubblicato un racconto ispirato a questo mito; poi nel 2010, in piena crisi economica, ho avuto un’altra idea a cui sto ancora lavorando: mi piace immaginare che Taso trova la sorella Europa a Francoforte, direttrice della Bundesbank, che lavora insieme a tutti gli altri burocrati. Dato che la crisi continua, non riesco a trovare una conclusione a questo racconto.

Il mondo classico greco, la filosofia, l’etimologia delle parole, sono alla base della mentalità e della cultura europea odierna, però fino a quarant’anni fa, molti beni materiali non si producevano in Grecia, ma in altri paesi d’Europa: così per identificare un buon prodotto lo si definiva “a livello europeo”. Dal 1974 a oggi, il primo periodo di tempo in cui, come paese indipendente, non abbiamo avuto guerre o colpi di stato, il livello della vita e dell’educazione si sono alzati e questo ha avvicinato la Grecia all’Europa reale. La cosa che mi fa più male è che con questa crisi, l’Europa che abbiamo tanto auspicato e amato si è rivelata un vero fallimento.

Come sta reagendo il popolo greco alla crisi umanitaria di profughi e migranti?

Ogni famiglia greca ha un parente che durante il secolo scorso è emigrato in America o in Australia, come del resto è successo a molti italiani. Per questo c’è una propensione nazionale a considerare il migrante come una vittima. L’umanità rimane presente dentro il cuore di un popolo, la crisi ha portato solidarietà anche negli ultimi sei anni, che sono stati molto duri: nella povertà ha fatto capolino l’umanità.

Il salario medio greco si aggira attualmente attorno ai 380 euro mensili, con che spirito il suo paese affronta una situazione tanto difficile?

Dalla fine della dittatura fino al 2010 i salari erano mediamente elevati, con l’inizio della crisi nel giro di un anno si sono dimezzati, e nel giro di tre sono diminuiti ancora della metà, fino ad arrivare alla situazione attuale. Tutti noi prima del 2010 abbiamo fatto debiti con le banche, che esortavano la gente a prendere soldi in prestito, per comprare la casa, l’automobile. Poi con la crisi, che è arrivata in maniera brutale grazie anche al silenzio dei politici riguardo all’effettivo debito nazionale, la somma da pagare rimaneva la stessa ma lo stipendio era la metà: la gente si è trovata intrappolata in una morsa, ci sono stati molti suicidi e una grande depressione nazionale, la più dura che io abbia mai visto. La crisi economica è una situazione ancora più dura di quella che è stata la guerra civile e la dittatura: sapevamo che la guerra sarebbe finita e che il regime dei colonnelli avrebbe avuto una fine obbligata, il nemico era facilmente individuabile e identificabile con persone in carne e ossa. Con la crisi è differente: non sappiamo se avrà una fine e soprattutto non c’è un nemico concreto contro cui combattere, il nemico è il mercato.

La forza di combattere questo nemico è nata a Genova nel 2001: l’antiglobalizzazione come movimento mondiale era la nuova utopia, e il mondo va avanti grazie alle utopie, e fu proprio a Genova che cadde il primo morto di questa battaglia.

A Exarchia, il quartiere resistente di Atene, abbiamo visto una grande volontà di reagire del popolo greco: il lavoro di collettivi e associazioni per il diritto alla casa, i corsi di lingua per immigrati, il mutuo soccorso e le lotte sociali portate avanti dalla collettività nelle piazze. Cosa ne pensa?

Penso che la gente inizi a essere stanca, perché non vede dei risultati, forse c’era più energia, più speranza tre o quattro anni fa. In molti adesso se ne vanno, c’è una nuova ondata migratoria: quella della mia generazione era una migrazione proletaria, quella di adesso è una migrazione di giovani altamente istruiti che dovrebbero avere la possibilità di lavorare nel loro paese.

Cosa ama di più del suo paese?

Il bel tempo, che resiste immutato. Ho vissuto per quarantacinque anni fuori dalla Grecia, dieci come esule della dittatura e gli altri per scelta, adesso voglio vivere qui e parlare la mia lingua: ricordo che quando non parlavo ancora l’italiano passavo ore a scrivere nei caffè.