«Dio è morto, Marx è morto e anch’io non mi sento troppo bene». Con questa battuta, quarant’anni fa, Woody Allen sintetizzava in maniera magistrale la condizione dell’uomo contemporaneo ritrovatosi a vivere in un mondo in cui erano crollati tutti i riferimenti e i punti fermi. Il dissolversi di ogni regola trascendente, di ogni legame fondato su una realtà estrinseca e fondante, insomma quello che spesso viene identificato con la categoria della morte del padre, è un processo che va avanti da oltre un secolo. Scrittori e pensatori come Nietzsche, Musil, Proust, Joyce hanno, nelle loro opere, cercato di fare i conti con questa situazione. Una situazione che, come tutte le cose umane, è in continuo movimento e che ha portato alcuni, nel corso di questi anni, a proclamare la la fine della storia. Ora a fare i conti con la situazione attuale, partendo proprio dall’evaporazione della figura paterna e cercando strade possibili di liberazione e cambiamento, è Paolo Godani con un agile ma denso libretto, pubblicato da DeriveApprodi e significativamente intitolato Senza padri. Economia del desiderio e condizioni di libertà nel capitalismo contemporaneo (pp. 168, euro 12).
L’autore, che è ricercatore all’Università di Macerata, inizia il proprio discorso indicando alcuni presupposti. Innanzi tutto che «ogni critica allo stato di cose presente e ogni immagine di possibili vie di liberazione debbano forgiarsi con le materie prime e con gli strumenti forniti dal presente stesso». Poi, che occorre tenere presente che viviamo ancora all’interno del capitalismo, il quale è in sostanza – ed è il terzo presupposto – «una macchina impegnata a riprodurre continuamente i limiti e i legami che per altri versi tende a dissolvere». Già da queste tesi preliminari, ci si rende presto conto che ci troviamo lungo un percorso che da una parte si richiama a quell’operaismo che collocava Lenin in Inghilterra o Marx a Detroit, dall’altra fa riferimento ai concetti di territorializzazione e deterritorializzazione di Deleuze e Guattari.
L’analisi della situazione attuale, che segue subito dopo in un capitolo significativamente intitolato Un «nuovo» ordine del discorso, non può che criticare a fondo quelle correnti di pensiero emergenti che, davanti alla dissoluzione dei legami tradizionali, invocano una sorta di «ritorno all’ordine», al senso del «limite», esplicitato con la fedeltà alla verità o ai grandi valori. Un discorso spesso basato sulla presunta vacuità di ogni trasgressione in assenza di norma. E il bersaglio di Godani non sono pensatori neocon o alfieri del turbocapitalismo trionfante, ma pensatori e filosofi quali Recalcati, Badiou o Zizek. In estrema sintesi, secondo Godati, non si tratta di tornare indietro, ma di andare ancora più avanti, utilizzando, radicalizzandole ancora di più, quella dissoluzione di legami per far emergere nuove soggettività rivoluzionarie.
Così, compiendo un percorso che va a toccare alcune delle esperienze più significative dell’arte, del cinema e della letteratura, con riletture estremamente significative di autori come Proust e Musil – ma con un discorso che spazia anche da De Lillo a Bela Tarr, a Gus Van Sant, a Carmelo Bene, a Bataille e persino all’ultimo testo, cosmologico, di Auguste Blanqui–– si mette radicalmente in crisi quel concetto di individuo delineato dal liberismo e dal capitalismo in favore di un soggetto che non è altro che «una collezione di tratti, cioè di caratteristiche singolari, ma comuni e molteplici». Uomini e donne senza qualità, singolarità qualunque, equivalenti, senza particolarità, in grado di sottrarsi a quella guerra istituzionalizzata, regolata, codificata, rappresentata dagli scacchi, giocatori invece di go, dove le pedine non hanno «alcuna proprietà intrinseca» e si allude piuttosto a «una non-battaglia, capace di affermare immediatamente l’esistenza di un altro mondo dentro questo mondo».