montaigne

Ugo Cornia ha finora scritto una serie di libri davvero belli, spesso divertenti se non esilaranti in alcune parti, mai banali, anzi capaci di mostrare aspetti inconsueti anche e soprattutto nelle cose più quotidiane. La caratteristica principale che li accomuna tutti, al di là degli argomenti trattati – quasi sempre legati ad aspetti della vita di ogni giorno – è un tipo di scrittura a prima vista molto semplice, dal lessico e dalla struttura colloquiale, che dà l’impressione più che di leggere un libro, di ascoltare qualcuno che ti stia raccontando delle storie. Una scrittura in realtà estremamente raffinata, densa di anafore, di allitterazioni e di altre figure retoriche, dall’andamento sinuoso, in cui temi e argomenti si incastrano uno nell’altro quasi come scatole cinesi e che dimostra l’assoluta maestria dello scrittore nel dominare ed indirizzare perfettamente l’andamento del discorso.

Un tipo di scrittura che, però, Cornia decide di abbandonare – almeno nelle sue caratteristiche più evidenti – nel suo nuovo libro intitolato Sono socievole fino all’eccesso (Marcos y Marcos, pp. 174, euro 15). Si tratta, come recita il sottotitolo di una Vita di Montaigne, dunque di qualcosa, almeno apparentemente, di molto diverso dal narrare storie di vita quotidiana. Insomma è come se il cantastorie avesse deciso di misurarsi con la filosofia. Una materia che Cornia dimostra di saper affrontare molto bene. E non soltanto perché è quella in cui si è laureato. Leggendo il libro, infatti, ci si rende ben presto conto che l’incontro con Montaigne ha prodotto un’opera perfettamente riuscita, bella e appassionante. Non si tratta, infatti, di un libro che racconta semplicemente i vari episodi della vita del filosofo. Al contrario, quello che emerge nella lettura sono gli snodi principali della filosofia dell’autore francese.

Come evidentemente Cornia sa, la filosofia di Montaigne è tutta corporea, carnale quasi, assolutamente immanente. Come afferma Michel Onfray nella sua Controstoria della filosofia: «Montaigne non pensa a nessuna idea senza l’esperienza autobiografica che la susciti e la solleciti». E ancora: «La parola nasce dalla carne, l’idea nasce dal reale, il dettato della sua visione del mondo si effettua dopo la sua esperienza del mondo».
Così, raccontandone la vita, Cornia affronta al contempo tutti i temi principali della riflessione del filosofo francese. Il viaggio si snoda all’interno degli scritti di Montaigne. Si va dalla visione del mondo come perpetuo oscillare, cambiamento continuo al discorso sulla morte. Dalla comparazione tra il modo di vivere degli indigeni americani e la società europea del tempo, sottolineando come gli indiani, che «chiamano gli uomini metà gli uni degli altri» e si erano accorti che c’erano uomini saturi di ogni sorta di agi mentre le loro metà erano costretti a mendicare, «trovavano strano che quelle metà bisognose potessero tollerare una tale ingiustizia, e che non prendessero gli altri per la gola o non appiccassero il fuoco alle loro case». Si parla ancora dell’amicizia – davvero splendida la parte che narra del legame tra Montaigne e La Boétie – e si criticano la tortura e le leggi. Si affrontano i temi della crudeltà e della credulità.

Il tutto, ancora una volta, con una scrittura magistrale, diversa da quella utilizzata usualmente dall’autore, ma allo stesso modo chiara, piacevole ed estremamente raffinata. Nella nota posta a conclusione del libro, Cornia afferma che avrebbe voluto scrivere il testo su Montaigne utilizzando esclusivamente citazioni dell’autore francese, cucendole tra di loro. Bisogna dire che lo ha praticamente fatto, tanto la sua scrittura riesce a mescolarsi con le tante citazioni utilizzate.

Del resto, le concezioni del filosofo sembrano davvero molto vicine a quelle che emergono dalle altre opere dell’autore italiano: la concezione della realtà come continuo cambiamento, lo sguardo limpidamente sovversivo sul mondo contemporaneo, il tentativo di far emergere concetti ed idee dalla materialità della vita, dalle cose concrete e, a volte, quasi insignificanti. Anche la struttura del discorso, infine, sembra accomunare Montaigne e Cornia. È quest’ultimo, infatti, a definire lo stile di pensiero del filosofo francese come «divagante e zigzagante», definizione che sembra calzare a pennello anche allo stile di scrittura di Ugo Cornia, così come emerge da tutti i suoi libri.