Che non sia un musicista alla ricerca di facili scorciatoie lo si dovrebbe desumere già dal fatto di essersi scelto uno degli strumenti meno usati nel jazz: il flauto. O meglio, meno usati in modo esclusivo e approfondito perché qualche spruzzata qua e la si trova spesso. Ma è in genere poco più di un abbellimento nei brani e un secondo o terzo strumento per i sassofonisti. Invece Massimo De Mattia, pordenonese classe 1959, è un flautista puro e, tra i pochi, uno dei più interessanti. Inizi fusion e jazz rock, poi jazz e infine l’adesione alla musica improvvisata. La sua discografia è generosa, com’è d’abitudine fra gli improvvisatori che sentono l’urgenza di fermare ogni nuovo passo della loro ricerca. Sinteticamente consigliamo per un approccio alla sua multiforme produzione discografia tre titoli. Una solo performance, disciplina nella quale eccelle, potrebbe essere Meats (setola di maiale, 2015), mentre nelle piccole formazioni il recente Il sogno di una cosa (Caligola, 2016) è un favoloso quartetto con Javier Girotto, Bruno Cesselli e Zlatko Kaucic; per finire il suo lato compositivo e di conduttore di organici ampi è ben documentato in Teatro Arrigoni (Artesuono 2013).

Da tempo impegnato in modo particolare in progetti multidisciplinari De Mattia è sempre stato attento all’aspetto sociale e politico della musica. Promotore di appelli, movimenti e azioni collettive in favore della cultura e della solidarietà ha recentemente dato vita ad un progetto denominato Timeframes. «È un luogo, logos, agorà; spazio mentale; l’occasione per coniugare i vari linguaggi e le diverse istanze degli artisti, per ascoltare, immaginare, inventare, rischiare, azzardare, produrre. Nel corso di questo ultimo anno siamo riusciti a mantenere accesa e viva la fiamma della Musica Creativa. Spontaneamente si è costituita una comunità artistica, si va popolando, si è ricostruito un pubblico, curioso, motivato, partecipe, interessato alle forme espressive artistiche più libere e contemporanee». Insieme a Giuseppe Intelisano e all’Associazione Odeia il flautista ha organizzato e condotto laboratori nella Sala Bastia del Castello di Torre e concerti nella Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea Armando Pizzinato di Pordenone. Continua il musicista: «Perché l’improvvisazione? Perché la musica è nata libera e tutto il suo cammino è un ritorno alla libertà. Perché confidiamo nei principi che governano quest’arte che, applicati ai casi della vita, funzionano come la più perfetta delle Costituzioni, le cui regole consentono libertà individuali e collettive sorprendenti. La Musica Libera diventa così il posto più democratico al mondo, dove non esistono gerarchie, dove le differenze diventano pure opportunità. L’Improvvisazione è un’arte estremamente accessibile, si rivolge a tutti, è coinvolgente, inclusiva, armonizza culture. Annulla le gerarchie». Nel 2016, con le ultime elezioni al governo di Pordenone è arrivato, dopo anni di centrosinistra, il centrodestra e si annunciano tempi difficili tra ordinanze contro i musicisti di strada, campagne contro i mendicanti e una aperta ostilità ai migranti.

L’approccio del flautista al rapporto tra musica e politica è sempre stato lontano dalle pose barricadere e da un impegno diretto anche se si possono cogliere nel suo percorso costanti riferimenti a pensatori eretici come Pasolini, più volte omaggiato. In tempi di crisi della politica il suo impegno si è fatto più esplicito. «Ad esempio pochi giorni fa ho costituito insieme ad altre persone l’associazione ’in prima persona’ che si prefigge lo scopo di sensibilizzare la società sul tema della violenza sulle donne. Ed è formata solo da uomini. Questo è un esempio concreto di azione culturale e politica. E tra gli strumenti che useremo ci saranno anche l’arte e la musica. Visti i tempi di crisi è fondamentale che l’artista non si rivolga solo alla cura del proprio linguaggio formale ma traduca il suo agire in azione sociale».

E questo vuol dire che l’arte, deve necessariamente in questo momento essere confronto: «Dialettico, democratico. La musica creativa non si compone se non c’è un reale e genuino rapporto tra i musicisti. Perciò il musicista improvvisatore deve essere e agire in modo democratico. Questo è il senso dei laboratori che sto conducendo. E vale anche per la comunità degli improvvisatori che lavora in una realtà parallela a quella dei festival e che opera in un tessuto di circoli e luoghi più vicini alle persone e ai giovani in particolare. Questa comunità agisce fuori da logiche commerciali. Marco Colonna a Roma, Francesco Massaro e Mariasole De Pascali in Puglia, Nicola Guazzaloca a Bologna sono alcuni nomi. Fare musica è politica».