Dopo il 18 marzo il rischio è che nella popolazione cresca la richiesta di un regime forte, una dittatura, per fronteggiare il rischio del terrorismo e dell’integralismo islamico, mi racconta Fathi Chamkni, deputato tunisino del Fronte Popolare, all’opposizione dell’attuale governo.

«Sull’esercito non abbiamo timori – prosegue – quattro anni fa ha difeso la rivoluzione e nella nostra storia è sempre stato leale verso chiunque governava. Diversa è la situazione della polizia che nel passato ha represso i movimenti democratici e in gran parte rimpiange il regime precedente. Oggi le cose vanno un po’ meglio perché è nato un sindacato di polizia che difende gli spazi di democrazia. Ma alcuni dei vertici della polizia che il governo ha dimesso dopo l’attentato del 18 marzo erano tra quelli che sostenevano il regime precedente.

La polizia si divide quindi in tre parti: una minoritaria che sostiene la democrazia, una che ha simpatia verso settori islamici integralisti e la maggioranza che è a favore di un regime forte. E questo è un problema. Il Fronte Popolare ha convocato la conferenza nazionale per maggio, abbiamo grande urgenza di aggiornare la nostra strategia e dobbiamo riuscire a rendere evidente alla popolazione che esiste un’alternativa al terrorismo e al richiamo al governo forte e dittatoriale».

Dopo la manifestazione di apertura che si è svolta sotto una pioggia torrenziale si è aperto ieri il Forum. Decine di migliaia i partecipanti da tutto il mondo e moltissimi giovani tunisini e maghrebini discutono in decine di seminari che si tengono all’Università di El Manar: sovranità alimentare, lotta contro l’accaparramento delle terre, traffico di esseri umani, ecc. Si tenta di rafforzare la collaborazione tra la società civile dalle due sponde del Mediterraneo.

Se si eccettua il discreto controllo da parte della polizia al quale devono sottoporsi i partecipanti al Forum e la presenza di alcune camionette militari davanti ai punti sensibili situati nel centro della città e i rotoli di filo spinato in alcune traverse della centrale Avenue Burghiba, non è facile rintracciare i segni della strage del 18 marzo. Ma il museo del Bardo rimarrà chiuso tutta la settimana.

Ho incontrato un gruppo di ragazzi tunisini che partecipano al Forum e ho chiesto loro come è cambiata la vita dopo il 18 marzo. «In nulla, tutto prosegue come prima – mi hanno risposto – non deve cambiare nulla, altrimenti diamo ragione ai terroristi. Certo che abbiamo paura, è vero che alcune migliaia di nostri connazionali combattono in Siria a fianco dell’Isis ed anche vero che qui ci sono delle cellule dormienti, ma la nostra vita non deve cambiare. Noi dobbiamo difendere la democrazia che abbiamo conquistato con la nostra rivoluzione 5 anni fa e se sarà necessario sapremo resistere».

Non sono solo i ragazzi presenti al Forum a pensarla così. L’impressione che si ha qui a Tunisi è di uno sforzo nazionale collettivo per cercare di mostrare in ogni aspetto della vita quotidiana un senso di normalità. Le prime pagine dei quotidiani tunisini non dedicano più l’apertura alle notizie relative alle indagini sui fatti del 18 , surclassate da altre notizie nazionali o internazionali. Questa scelta ha certamente anche motivazioni economiche: evitare un forte calo del turismo, si considera che siano alcune migliaia (tra i 3 e i 5.000) i turisti che hanno cancellato le loro prenotazioni per le vacanze pasquali. L’obiettivo delle autorità tunisine è quello di considerare l’attentato una parentesi in un Paese che rimane “normale” a differenza di quanto avviene in tutti i Paesi confinanti.