All’inizio dal Sì al referendum sembrava dovessero dipendere le sorti dell’Italia, adesso scopriamo che sarebbero in gioco anche la tenuta dell’Europa e il futuro degli Stati uniti.

Ci sarebbe di che esserne fieri, se non fosse che il ruolo attribuito a Renzi da Obama non dipende dalla forza, ma dalla sua debolezza della sua politica. Neppure negli anni più bui dell’ubbidienza atlantica, un capo di governo italiano aveva esposto l’Italia alla imbarazzante situazione in cui il capo di un altro stato si sia permesso di dare un voto sul proprio operato in politica interna, e persino su come debba essere scritta la sua Costituzione. Con l’avvilente utilizzo del nostro, ahimè, presidente del consiglio da parte del presidente degli Stati uniti.

Obama avverte l’Unione europea che Washington pretende più efficienza dai litigiosi 28 stati europei, e a questo fine è pronto a rottamare la troppo arrogante Merkel, il troppo debole Hollande, i presuntuosi britannici.

Sostenere Renzi nel momento in cui deve affrontare Bruxelles sulla finanziaria, avrebbe potuto implicare una utile critica alla politica dell’austerity. E così infatti la cosa è stata presentata. Ma quanto il presidente americano ha lodato in Renzi può esser difficilmente presentato come un’alternativa all’infausta linea ordoliberista, perché anzi è apparso come l’incoraggiamento a perseguirne la sostanza: il Job Act, l’abolizione dell’articolo 18, e dunque l’estrema precarizzazione del lavoro. E proprio nelle stesse ore in cui venivano resi pubblici i dati sull’aumento esorbitante dei licenziamenti senza giusta causa che “le riforme” hanno prodotto.

Senza dimenticare l’accenno al famoso Ttip, il trattato per la liberalizzazione degli scambi transatlantici che la Francia ha rifiutato (e che incontra ancora molte sacrosanta ostilità a livello europeo), e cui, invece, il disciplinato governo italiano ha aperto le porte. Un accordo che darebbe un colpo mortale proprio all’autonomia europea per quanto di meglio ancora conserva.) Nel plauso di Obama c’è anche il ringraziamento per il pronto servizio offerto dall’Italia, inviando 450 soldati nientemeno che in Lettonia, per presidiare le nostre frontiere occidentali dall’invasione dei cosacchi.

Una Europa più forte e disciplinata nell’attuale contesto serve ad Obama, oggi criticato per le sue “debolezze” in politica estera. Ma difficilmente mira a creare l’Europa di cui avremmo bisogno noi europei; e anche il mondo. Obama in realtà si trova oggi alla testa dell’insensato rilancio della guerra fredda, che arriva del resto dopo l’altrettanto insensato e pericolosissimo accerchiamento della Russia operato dalla Nato sin dall’indomani della caduta del Muro. Se oggi a Mosca comanda Putin è anche perché è quella strategia che ha stimolato le peggiori reazioni di un paese cui l’Europa avrebbe dovuto invece aprire le porte.

In realtà questo incontro Renzi-Obama dovrebbe preoccupare. Se il presidente americano avverte la necessità di ricorrere ad una politica estera più aggressiva vuol dire che cresce l’escalation in favore di una rischiosissima più dura competizione fra le potenze mondiali. Purtroppo è la linea di cui si fa portavoce Hillary Clinton ( che siamo costretti a preferire a Trump). E che Obama è costretto a favorire.

Lo spot propagandistico di Renzi a Washington è ovviamente parte della battaglia referendaria. C’è chi lo userà per dire che la vittoria del No sarebbe non solo una catastrofe per l’Italia ma anche – “vedete cosa ha detto Obama?” – per il mondo. Sarà dunque ancor più necessario insistere nel rispondere ai non pochi che pur condividendo le ragioni del No, sono stati convinti che una sua eventuale vittoria porterebbe ad una pericolosa destabilizzazione del Pd, lasciando spazio alla destra (o ai 5 Stelle).

Credo sia davvero il contrario: se non si costruisce una reale alternativa al pericolo di un accentuato autoritarismo e alla deriva liberista e iperatlantica cui sta portando, non si farà che dar spazio alle forze antisistema. In Italia come altrove in Europa. Che proprio dal venir meno della partecipazione politica della gente, dalla mortificazione dei movimenti, dalla demonizzazione dei corpi intermedi e dei contropoteri che rappresentano, dalla marginalizzazione della dialettica democratica che ne deriva, traggono in definitiva vantaggio.

L’alternativa immediata, in termini di governo, forse non c’è. Ma rinviare il processo capace di costruirla non fa che deteriorare il terreno su cui dobbiamo misurarci. E’ pericoloso, potremo vedere compromesse per un tempo assai lungo le nostre prospettive. In pericolo è oggi il tessuto democratico, e nessuna sinistra – e neppure un centrosinistra – può prosperare in una simile situazione.