Quando i vigili del fuoco sono arrivati in zona, si sono fermati per un momento ad osservare da lontano quell’enorme rogo. Le fiamme e il denso fumo nero sprigionati dai serbatoi del gasolio erano troppo per loro. Per tutto il giorno hanno provato a spegnere l’incendio. Niente da fare. La centrale elettrica di Gaza è perduta e con essa il 30 per cento di energia per la popolazione civile. Per ripararla occorrerà un anno. Quando l’altra sera, nel pieno del bombardamento più duro mai subito dalla Striscia di Gaza dall’inizio di “Margine Protettivo”, i jet israeliani hanno centrato le turbine della power station, diversi centri abitati sono piombati nel buio totale. Per centinaia di migliaia di palestinesi ad illuminare l’oscurità sono stati solo i lampi delle esplosioni. E sarà così ancora nelle notti a venire perchè in quelle zone solo chi possiede i generatori autonomi avrà la luce. Si rischia anche per il mancato funzionamento delle pompe idrauliche, dei depuratori. Lo stop della centrale aggrava i problemi per le strutture sanitarie che da oggi in poi, per continuare ad operare, dovranno garantirsi scorte adeguate di carburante per i generatori di energia. Al momento gli abitanti della Striscia, circa 1,8 milioni di persone, hanno a disposizione in media solo due ore di corrente elettrica al giorno.

Quelle della notte sono le ore più difficili, per i palestinesi prima di tutto e anche per gli stranieri che lavorano a Gaza sotto attacco. L’altra notte l’Aviazione, la Marina e l’artiglieria hanno martellato senza sosta questo fazzoletto di terra palestinese, non risparmiando alcuna zona. Ad un certo punto i colpi di cannone e i missili dal mare cadevano ogni trenta secondi mentre le navi da guerra sparavano razzi illuminanti su tutta la fascia costiera. Israele ha colpito le case di esponenti di Hamas e Jihad, tra i quali l’ex premier Ismail Haniyeh, di autorità locali, come il sindaco di al Burej Anis Abu Shammaleh, la moschea Abbas, il ministero delle finanze, la sede di radio Al Aqsa (Hamas), i magazzini dei pescatori al porticciolo di Gaza city e cisterne di acqua. Le bombe hanno anche centrato i capannoni di diverse fabbriche: nei giorni scorsi era toccato a quelli intorno di Beit Lahiya, Beit Hanun e Jabaliya, l’altra notte a quelli meridionali della zona di Khan Yunis. Il danno economico è enorme. «In un colpo solo abbiamo perduto 3-4 milioni di dollari», ci spiegava ieri Mahmud Abu Ghalion, un giovane imprenditore, proprietario con il padre e i fratelli di una fabbrica di piastrelle a Beit Hanun – i carri armati israeliani hanno abbattuto il capannone e distrutto i nostri autocarri e le ruspe. Il danno non è solo per la mia famiglia ma anche per i nostri 50 operai che hanno perduto il lavoro. Sappiamo che altre fabbriche sono state cancellate dall’offensiva israeliana».

Più di tutto l’altra notte sono state spazzate via altre decine di case nella fascia nord-orientale, di Shujayea (quelle ancora in piedi) e in quella ad est di Khan Yunis. Si tratta della nuova “zona cuscinetto” o “no-go zone”, larga fino a 3 km, che Israele sta creando di fatto a suon di cannonate. Le radio di Gaza, che solo grazie al coraggio dei loro redattori riescono ancora ad operare, lunedì hanno trasmesso in diretta gli appelli di tanti civili rimasti intrappolati a Maghazi, Abasan, Jabaliya e altri centri. «Siamo al buio, intorno a noi ci sono i carri armati, vi prego fate qualcosa, mandate un’automobile, un’ambulanza, salvateci», urlava singhizzando Mohammad di al Burej, aggiungendo di aver visto la palazzina del sindaco Abu Shammaleh ridotta in macerie dall’attacco aereo e diversi cadaveri. E telefonate arrivavano anche da Izbet Abdel Rabbo e Zaytun, rispettivamente a Beit Hanun e Gaza city, le ultime aree in ordine di tempo ad essere messe sotto pressione dai reparti corazzati israeliani. Da quei posti la gente è scappata subito. Dopo aver visto quanto è accaduto a Shujayea, i civili palestinesi ora si allontanano subito appena scorgono i mezzi blindati. La massa degli sfollati perciò aumenta di ora in ora, sotto l’onda della fuga dalle nuove zone minacciate: sono almeno 200mila.

Quella tra lunedì e martedì è stata una notte da incubo costata la vita, secondo un bilancio ufficioso, ad un centinaio di palestinesi, e che non ha risparmiato niente e nessuno. Neppure i 29 bambini palestinesi disabili ospiti della casa delle Suore di madre Teresa a Zaytun e che sono scampati per miracolo ai bombardamenti aerei perchè in quel momento si trovavano all’interno della vicina chiesa cattolica della Sacra Famiglia. Per loro aveva lanciato un appello sui social padre Mario Cornioli, rilanciato da centinaia di persone. Il clero locale, cattolico e ortodosso, è impegnato a portare aiuto agli sfollati e a denunciare l’offensiva israeliana. «E’ come la Seconda guerra mondiale, la distruzione totale. Colpiscono tutti: civili, donne, bambini e ospedali», ha detto padre Raed Abusahlia, direttore della Caritas in Terra Santa in una intervista. Domenica scorsa la casa della famiglia cristiana degli Ayyads è stata distrutta in un bombardamento e la madre sessantenne è morta sul colpo. Un suo figlio, trentenne, è in gravissime condizioni: gli sono state amputate le gambe, ha ustioni sul 70% del corpo e danni alla testa. Protesta anche Medici Senza Frontiere per l’attacco di due giorni fa contro l’ospedale Shifa dove lavora un’équipe chirurgica dell’organizzazione umanitaria. Nello staff di Msf a Gaza c’è anche un chirurgo italiano, Cosimo Le Quaglie, al quale abbiano chiesto informazioni sul tipo di ferite evidenziano i colpiti nei bombardamenti e se, come si dice tra i palestinesi, gli israeliani hanno fatto uso di armi non ancora note. «La maggior parte dei feriti sono giovani, spesso bambini, arrivano allo Shifa con traumi del torace – ci spiega Le Quaglie – non sono uno specialista di armi ma mi è stato spiegato dai colleghi che esistono granate particolari che scoppiano e liberano una gran quantità di schegge che possono conficcarsi nelle articolazioni, nell’intestino, nei vasi con conseguenze molto gravi».

Anche ieri si sono diffuse voci di accordi di cessate il fuoco imminenti che poi sono state smentite dalle parti coinvolte. E’ certo però che al Cairo andrà una delegazione dell’Olp con esponenti di Hamas, tra i quali Musa Abu Marzouk, numero due del movimento islamico. Gli egiziani si sarebbero detti disposti ad apportare qualche “cambiamento” (minimo) alla proposta di cessate il fuoco che hanno presentato due settimane e che piace a Israele ma è stata respinta da Hamas. Un accordo non c’è ancora. Tuttavia si sono o sarebbero allargati i margini di manovra politica e si parla di un possibile compromesso già nelle prossime ore. Sono voci. La sola cosa concreta ieri sera era la paura dei civili palestinesi che si preparavano a vivere una nuova notte di bombardamenti intensi. I morti palestinesi sono ormai circa 1200 e anche le ultime ore sono state segnate da nuove stragi. A Jabaliya, dove 13 persone sono state uccise da due cannonate israeliane. Non cessano, ma sono diminuiti i lanci di razzi da Gaza. Un commando di Hamas, uscito da una galleria sotterranea, è stato bloccato subito da una pattuglia israeliana. Uccisi i cinque membri.