Si chiama «nuvola», ma purtroppo del sapore poetico evocato dal termine resta ben poco, e la dimensione evanescente sembra piuttosto concretizzarsi nelle gru e nei depositi di materiali di un cantiere che pare ormai senza fine. Il nuovo Centro Congressi dell’Eur è un progetto firmato dallo studio di Massimiliano Fuksas che nel 2000 ha vinto il primo premio di un concorso internazionale, bandito nel 1998 dal comune di Roma e dall’allora Ente Eur. L’immagine del progetto (la Nuvola) è ormai nota ai più, romani e non solo, abituati da oltre 14 anni a fantasticare su un auditorium dalla geometria complessa, sospeso e contenuto all’interno di una grande teca di vetro, simbolo dell’anima espressiva del barocco romano l’interno, e di uno spirito più lucido e razionale l’involucro esterno, secondo le parole dell’architetto. Si tratta di un’opera ambiziosa, che nell’area compresa tra viale Europa e Via Cristoforo Colombo dovrebbe ospitare un auditorium di 1850 posti, sale congressuali e sale minori di circa 6000 posti, con un parcheggio interrato e una capienza totale di circa 8000 persone.

Il costo iniziale dell’opera di 272 milioni di euro è negli anni aumentato fino ad arrivare a 415 milioni. A fine 2013, quando si sperava di poter terminare l’opera entro il 2015, su richiesta del Presidente dell’Eur Pierluigi Borghini, il governo ha stanziato, con la legge di stabilità, un prestito di 100 milioni di euro da restituire entro 30 anni. A completare la cifra mancavano comunque 70 milioni di euro, che probabilmente si pensava di poter colmare con la vendita o l’affitto dell’Hotel Lama, la struttura adiacente alla Nuvola, sempre firmata dallo studio Fuksas. I soldi non sono mai arrivati e questa lunga vicenda di varianti, ritardi e innalzamento dei costi – è intervenuta anche l’Autorità di vigilanza sui contratti pubblici – sembra ormai lontana dal concludersi.
A prescindere che la realizzazione vada a buon fine o meno, la storia di quest’opera ormai non ha più nulla di sensazionalistico nelle vicende delle architetture contemporanee in Italia. Allontanandosi di poco – restando sempre a Roma – si possono notare gli scheletri di quello che appare come un altro progetto incompiuto: la trasformazione delle torri costruite da Ligini negli anni 50 ad opera di Renzo Piano nel progetto «Case di vetro». Oppure, basti pensare al progetto delle piscine di Santiago Calatrava, iniziato nel 2005 per ospitare le Olimpiadi di nuoto del 2009; per via di ritardi e aumento dei costi i quattro anni si sono dimostrati insufficienti a terminare l’opera, e si è dovuto correre ai ripari del Foro Italico per poter ospitare le manifestazioni.

La lista continua, spostandosi a Venezia: qui rimane in sospeso il progetto firmato dallo studio 5+1AA in collaborazione con l’architetto francese Rudy Ricciotti, progetto vincitore del concorso bandito dalla Biennale di Venezia nel 2005 e ancora oggi da terminare. Volendo si può scendere più a sud. A Salerno è stato sequestrato il cantiere di Ricardo Bofill per il Crescent, o a Isernia, dove l’auditorium firmato da Pasquale Culotta, esito di un concorso del 2005 e beneficiario dei finanziamenti per l’apertura in urgenza del 150 anniversario dell’Unità di Italia, deve ancora concretamente aprire al pubblico.

La lista può proseguire e sembra tracciare non solo una geografia, ma anche una storia della vicenda progettuale del nostro paese, identificando un fenomeno che ha tracciato con intensità il suo solco tra gli inizi degli anni 60 e i primi anni 80, e che manifesta oggi il suo lascito con questa lunga serie di opere incompiute.

Si tratta di un meccanismo perverso ma oggi ormai iper-reale, in cui incorrono quasi tutte le grandi opere della contemporaneità in Italia, per cui a grandi firme e a cifre altisonanti sembra opporsi un muro di processi e procedure che inibiscono automaticamente il passaggio dall’idea alla realtà. La semplificazione burocratica non appartiene al nostro paese, la crisi aggrava i procedimenti, resta da chiedere ai progettisti un attaccamento più radicale alla realtà, lasciando nuvole e tramonti a contesti più floridi ed efficienti.