«L’islam può essere oggi usato per costruire una democrazia veramente liberale nel Medio Oriente e oltre?» Si può dire che sia questo l’interrogativo di fondo del volume di Reza Aslan, Non c’è dio all’infuori di Dio Perché non capiamo l’islam (Rizzoli, pp. 409, euro 20,00). A dispetto del sottotitolo italiano, il saggio non è banalmente concepito allo scopo di fornire un po’ di nozioni sulla religione islamica a lettori ansiosi di «capirne» qualcosa, dal momento che si è fatta più vicina e minacciosa. Nell’accostarsi a questo libro, sarà utile tenere presente che è stato scritto una decina d’anni fa, in un contesto diverso da quello odierno, in cui non si era ancora assistito né alle «primavere arabe» né al sorgere del «califfato» dell’Isis: sarebbe quindi vano cercarvi «spiegazioni» di quanto è avvenuto negli ultimi anni e degli eventi dell’attualità.

È vero che il lavoro di questo studioso iraniano trapiantato in America contiene un’eccellente esposizione del divenire storico dell’islam e può quindi essere molto utile anche per conoscere le cause remote di tanti fatti odierni, ma l’obiettivo del libro è diverso e ben più ambizioso. Il sottotitolo originale inglese «origine, evoluzione e futuro dell’islam» lo descrive in modo sintetico ma efficace. Introducendo la nozione di «futuro» si esce dalle scienze storiche o sociologiche, e si entra nei territori, infidi ma affascinanti, della futurologia.
Il libro non si limita, infatti, a descrivere l’esistente ma propone una chiave di lettura nuova e inconsueta della storia, anche se indubbiamente ragionevole e verosimile, sforzandosi di tratteggiare scenari futuri che si accordino con questa visione e di indicare le possibili vie da seguire per una «riforma» dell’islam in senso umanistico e liberale. Non a caso, l’opera ha già suscitato intensi dibattiti sia in America che in Europa e nello stesso mondo islamico.

L’esposizione, molto chiara e in genere ben documentata, è mirata a seguire per quali vie il messaggio originale dell’islam si è inverato nelle forme che oggi conosciamo, con un interrogativo di fondo: se questo sia l’aspetto immutabile e definitivo della religione predicata da Maometto o se non sia possibile prevedere evoluzioni future che la portino a convivere in modo meno conflittuale con il mondo moderno.
La parte iniziale del libro di Aslan ripercorre la nascita dell’islam, dalle condizioni di vita nell’Arabia preislamica, in cui il politeismo conviveva già con diverse forme di monoteismo, cristiano o giudaico, alle vicende della vita di Maometto e dei primi suoi successori. È una descrizione che in più punti si discosta dalla visione tradizionale – affermata sulle incerte basi delle vite del Profeta e della miriade di racconti di quanto da lui detto e fatto (hadith) – e che offre una lettura molto più spirituale e meno «terrena» della figura dell’Inviato di Dio. Anche quando Maometto prese di fatto il potere sulla città di Medina, per la quale promulgò una «Costituzione», il suo obiettivo sarebbe stato non tanto quello di creare le basi di un forte potere temporale quanto quello di costituire una comunità (umma) retta secondo principi di uguaglianza e giustizia (secondo le parole di Aslan «un esperimento unico di organizzazione sociale»), in contrapposizione alle palesi ingiustizie su cui si basava la prosperità della classe dirigente della Mecca. Addirittura, agli inizi le rivelazioni mostrerebbero l’esigenza più di una «riforma sociale» che di una nuova religione. Solo dopo tre anni di predicazione si sarebbe manifestata con chiarezza la nascita di un rigoroso monoteismo riassunto nella frase «Non c’è dio all’infuori di Dio».

Il senso originale dell’ «esperimento» di Maometto sarebbe stato poi progressivamente dimenticato dai suoi successori, i «califfi», che rivestivano una carica istituita in modo frettoloso e improvvisato subito dopo la morte inattesa del Profeta. Non potendo ovviamente condividere con Maometto il dono della profezia e del contatto diretto con la divinità, i califfi assunsero la guida della neonata comunità solo per quanto concerne gli aspetti secolari (il che col tempo si trasformò nella gestione di un potere imperiale ad opera di una dinastia), mentre l’ultima parola per quanto riguarda l’interpretazione della parola rivelata venne lasciata ai «dotti» (ulema), alla cui opera, protratta nel tempo, si deve l’elaborazione e la fissazione delle norme religiose quali oggi le conosciamo.

Nei primi tempi le indicazioni degli ulema erano elastiche, allo scopo di adattarsi di volta in volta al mutare delle circostanze, ma dopo alcuni secoli questa casta si richiuse su sé stessa e, decretando che «le porte dell’interpretazione erano ormai chiuse», irrigidirono il corpus di leggi così elaborato dichiarandolo sacro e immutabile (sharia). Ma in proposito Aslan sottolinea quanto sia «irragionevole considerare quello che è palesemente il risultato di un lavoro umano come l’infallibile, inalterabile, inflessibile e vincolante legge sacra di Dio».

Esaminando sotto il profilo storico tanti aspetti dell’islam oggi ritenuti «problematici», Aslan mostra quanto essi fossero estranei al messaggio originale di questa religione, la cui essenza era un ideale di giustizia e uguaglianza. Le norme che discriminano le donne risalirebbero in realtà alla misoginia di ‘Umar e dei tanti ulema maschi che diedero alla religione la forma che noi oggi conosciamo, mentre la concezione detta «classica» del jihad come guerra non solo difensiva sarebbe stata formulata solo ai tempi delle crociate e riproposta all’epoca della lotta anticoloniale.

Solo negli ultimi capitoli Reza Aslan esplicita il suo pensiero, affermando come sia possibile e auspicabile la nascita di «uno Stato islamico votato al pluralismo, al liberalismo e ai diritti umani, ma fondato al contempo su una cornice morale di chiara matrice islamica». Per quanto divergente da quella «tradizionalista», questa posizione – in assenza di un’autorità istituzionale che decreti ciò che è ortodosso e ciò che non lo è – va considerata pienamente legittima. Solo il Profeta avrebbe potuto contestarla, ma dopo di lui nemmeno i califfi si arrogarono mai questa prerogativa.

Difficile dire fin d’ora quanto della visione riformatrice di Aslan possa effettivamente realizzarsi in un prossimo futuro. Da una parte, l’avvento delle «primavere» del 2011, tutto sommato inimmaginabili all’epoca in cui il libro venne scritto, ha confermato l’intuizione, ribadita più volte nel corso dell’opera, secondo cui anche nel mondo islamico la maggior parte della popolazione aspirerebbe alla libertà e alla democrazia, che sarà tanto più autentica quanto più nascerà «dall’interno» e non da tentativi più o meno maldestri di «esportarla» preconfezionata. D’altra parte, le successive evoluzioni in senso violento e la nascita del «califfato» dell’Isis fanno capire quanto il cammino verso una «riforma liberale» dell’islam sia difficile, lungo e ostacolato non solo dall’ideologia degli ulema ma anche dagli interessi geopolitici di molte potenze regionali dalle smisurate risorse finanziarie.

È possibile considerare le lotte in corso, «un conflitto interno fra musulmani, non una guerra esterna fra l’islam e l’Occidente», alla stregua delle guerre che dilaniarono l’Europa ai tempi della riforma protestante? È quanto Aslan crede sia in atto, con la casta tradizionalista degli ulema che, come a suo tempo la chiesa di Roma, cerca di difendere con ogni mezzo il proprio monopolio della interpretazione dottrinale. Se al tempo di Lutero la stampa contribuì a diffondere la lettura personale delle sacre scritture, oggi l’avvento di internet fornisce a ogni musulmano la chiave per accedere, senza la mediazione di imam e mullah, all’essenza del messaggio di Maometto, allo spirito della comunità di Medina. Il paragone è azzardato ma accattivante. Se sia una prospettiva realistica solo il tempo lo dirà.