I volti dell’alienazione, che propone i disegni di Roberto Sambonet (artista e designer italiano, nato a Vercelli nel 1924, trasferitosi poi a san Paulo e morto a Milano nel 1995) degli internati brasiliani nei manicomi  è una mostra visitabile fino al 3 maggio, presso il Museo in Trastevere, curata da Franco Corleone e Ivan Novelli. Raccoglie un nutrito corpus di opere – quaranta disegni e settanta studi – e soprattutto, racconta, attraverso corpi emaciati, frammenti di esistenze spezzate, maschere del dolore e risate che non appagano, una sequenza di storie dove la follia diventa quasi tangenziale, mentre a balzare in primo piano è la condizione di estraneità ad un consesso umano cui venivano costretti i cosiddetti «matti».

Attraverso la galleria di ritratti che l’artista ha realizzato tra il 1951 e il 1952 nel manicomio di Juqueri, situato a cinquanta chilometri da San Paolo in Brasile, l’esposizione cerca non soltanto di indagare dentro i meandri misteriosi che conducono al disagio mentale, ma offre una testimonianza di una esperienza vissuta e, insieme, riconsegna una identità a individui spossessati di sé con la loro permanenza in istituzioni totali come quelle psichiatriche, lager che bandiscono persino i ricordi personali, annacquano il passato, spengono il futuro.

Ci sono voluti sei mesi di immersione nella malattia e nei reparti di quell’ospedale di Juqueri per scalzare del tutto un’idea di «normalità» e per rendere sfumati i confini tra universi apparentemente incomunicabili. Sambonet, nella sua personale ricognizione, ha immortalato (a china e a matita) non soltanto gli «abitanti» di quelle stanze dove ha albergato il caos della ragione, ma anche i loro sogni ed emozioni. Un lavoro di grande respiro confluito anche in un libro, Della Pazzia (M’Arte Edizioni, 1977) in cui, oltre ai volti e corpi dei malati si trovano le parole di Ginsberg, Campana, Nietzsche.