Non trova balsami e conforto in nulla il dolore per la morte violenta della piccola Fortuna Loffredo, la bambina buttata da un balcone dall’uomo che l’ha aggredita sessualmente, come sostiene l’accusa di un’indagine che con pazienza è venuta a capo di una vicenda che risale a due anni fa. Non lo trova la madre, che con viso dolente e con rabbia non dissimulata mostra la foto della sua bella bambina dai riccioli d’oro. E non lo trova per chi sgomento si trova catapultato dentro una storia che non si vorrebbe conoscere, non si vorrebbe sapere che esiste. Tanto è l’orrore che suscita.

Eppure bambine e bambini hanno parlato. E sono stati ascoltati. E questa è l’unica cosa che consola, nell’orribile storia. Che si presti fede ai racconti dei piccoli, non li si liquidi come sciocchezze, bambinate appunto.

Perché i piccoli, le piccole sanno, vedono, pensano. In maniera difforme dagli adulti, anche quelli adoranti e benevoli. A cominciare dai genitori, che in questa epoca e in questa parte del mondo in cui i bambini sono un bene scarso, idolatrano le creature, ma non per questo realmente le ascoltano, o le vedono. L’estrema vicinanza, la condivisione dei tempi e dei divertimenti che caratterizza oggi le relazioni tra adulti e bambini, tra trattorie, gite, tv, gelati e mcdonald – inconcepibili in epoche in cui i bambini vivevano in mondi ben separati, fino a crearsi regole e giochi tutti loro – non rendono i mondi più trasparenti l’uno all’altro. I bambini sanno che gli adulti comandano, sono più forti, soprattutto sanno che i genitori, in generale i “grandi”, hanno segreti da cui loro sono esclusi. C’è una domanda che tormenta la madre di Fortuna, «perché non mi ha detto nulla?». Sarà stata terrorizzata, minacciata dal suo aggressore. Un bambino, più piccolo di Fortuna, sarebbe già stato buttato giù nello stesso modo. Forse è veramente molto difficile parlare. Come si fa a dire che non sei così innocente, così bella e pulita come i grandi vedono le loro creature?

La pedofilia taglia come un coltello una zona molta buia, quasi insondabile. Perché tutti amiamo i bambini. Che sono teneri, belli, desiderabili per definizione. Toccarli, accarezzarli, stringerli è una gioia, fa parte della relazione, tra grandi e piccoli. Del resto per crescere hanno bisogno della protezione degli adulti, “devono” suscitare tenerezza. Ma solo se consideriamo la parola pedofilia nel significato originario della parola greca, amore per i bambini, siamo tutti pedofili. Non nel ristretto significato attuale, di perversione sessuale. Che indica il superamento di un confine, sottile forse, eppure netto.

Un confine con il quale si gioca molto. Pensate alle bambine super-erotizzate, iper-sessualizzate nel modo di vestire contemporaneo. Sexy, come le pop-star, o le giovanissime attrici o modelle che abitano i social e i video di moda e gossip. A loro volta infantilizzate. È un gioco, è un sistema di segni, certo non una pratica sessuale, certamente non è un’azione criminale e violenta. Eppure allude, indica, suggerisce. Una possibilità, un desiderio. Nello stesso tempo nasconde, esattamente come decenni fa la repressione sessuale vissuta dentro le brave famiglie piccolo-borghesi.

Questo mi sembra il contesto pertinente, da interrogare con più di una domanda, non il degrado del quartiere di Parco Verde a Caivano. In troppi fanno sociologia spicciola in questi giorni, come se l’abitudine all’illegalità fosse una specie di chiave per spiegare tutto. È un’equazione semplice, fondato su una logica falsa. La pedofilia non ha nulla a che fare con lo stato sociale, con ricchezza e povertà. Forse cambieranno lo stile, il linguaggio, perfino le posture del corpo, ma la pedofilia è una perversione che non conosce confini di classe. Non possiamo rassicurarci che nel nostro mondo, a noi sarebbe impossibile.

E questo è il dolore più profondo. Sapere che per quanto ci si ostini a proteggere le nostre creature, fino a rinchiuderle in vite tutte disegnate in anticipo, non riusciremo mai a sapere tutto, capire tutto.

Ma non intendo cambiare discorso. L’amica di Fortuna, la bambina che ha parlato, ha mostrato un coraggio eccezionale. Ha denunciato, ha usato tutta la sua forza per dire, per raccontare. Si è fidata, ha capito che non le sarebbe stato detto “ti stai inventando delle storie”. Il silenzio dei piccoli spesso è frutto di tentativi falliti, di discorsi cominciati e caduti nel vuoto, nella distrazione di “grandi” che li vezzeggiano e passano ad altro. Senza cogliere i segnali.

Un’ultima considerazione. La fine violenta di Fortuna – mai nome fu meno appropriato – ci ricorda che la pedofilia colpisce le femmine. A volte sembra che solo la violenza verso i maschietti susciti lo scandalo generale. Come se la violenza, l’abuso sessuale di bambine fosse parte di un destino ineluttabile. Quello delle donne. Che fin da piccole devono apprendere chi comanda. Eppure le piccole sanno ribellarsi. E mettono a rischio la vita. Piccole grandi eroine.