Sono passate solo poche ore dalla strage di Ankara che a Suruç l’aria è già diventata irrespirabile. Entriamo silenziosi al centro culturale Amara, dove lo scorso 20 luglio ebbe luogo la strage di 33 studenti e attivisti socialisti che portavano aiuti a Kobane, per mano di un attentatore suicida dello Stato islamico. Le facce qui sono scure e preoccupate. Per molte e molti degli attivisti presenti le immagini della piazza della stazione di Ankara richiamano alla mente tutte le sensazioni di quella mattina di luglio.

Solo poche ore fa ci trovavamo a Diayrbakir, dove in seguito agli scontri di ieri sera tra sostenitori della sinistra filo-kurda (Hdp), cittadini comuni e polizia ai margini del quartiere Hasirli, è stato nuovamente ordinato il coprifuoco. Nessuno può lasciare le proprie case dopo le sei di pomeriggio. Questa tecnica è usata a singhiozzo sempre più di frequente nelle grandi città del Kurdistan.

A Cizre, a due passi dal confine siriano, è durato ben nove giorni a partire dal 6 settembre scorso, a Nur è stato indetto a più riprese nel mese di settembre, ma anche a Nusaybin, Silvan, Silopi e Bismil i kurdi non hanno potuto muoversi da casa nel corso degli ultimi dieci giorni.

In tutte queste città, dove l’Hdp è la maggioranza ed esistono quartieri che si autodifendono con barricate, si sono succeduti tentativi della polizia di penetrare con mezzi militari, tentativi cui è seguita la reazione delle comunità locali. A Cizre in particolare l’attacco armato di venti giorni fa, anticipato dallo stop di acqua e corrente elettrica, ha causato la morte di 21 persone. Le testimonianze di chi ci ha accompagnato tra le vie della città vecchia raccontano di buchi più o meno evidenti dentro palazzi, negozi e strade sterrate. Ad un passo da Nur, una signora strattona un bimbo di forse cinque anni per farcelo vedere: «Questo per Erdogan è un terrorista, a voi pare un terrorista questo bambino?», osserva indignata.

Dal centro culturale di Suruç ci rechiamo ad uno dei campi profughi costruiti con grandi ritardi dopo gli attacchi dell’Isis a Kobane. Nihat, giunto poco meno di un anno fa da Kobane, confessa una certa indifferenza verso Assad e i raid aerei russi in Siria degli ultimi giorni, con relativi sconfinamenti in territorio turco. Nihat non nasconde però un disprezzo inequivocabile verso Erdogan e il suo partito. La sua devozione va alle Unità di protezione maschili e femminili (Ypg/Ypj) che hanno protetto il passaggio dei profughi, non solo kurdi, con cibo, supporto logistico e tutelando l’incolumità delle persone. «Siamo contrari ad azioni militari esterne, quelle americane avevano poi un ruolo per lo più di facciata», aggiunge Omer di Hdp. Secondo lui, solo sconfiggendo l’Isis, i kurdi potranno vincere la loro battaglia per l’autonomia.

La conclusione dell’incontro è segnata dalla vibrazione di un paio di cellulari, la Farnesina invita a evitare assembramenti e manifestazioni pubbliche in tutta la Turchia.

Nel pomeriggio di ieri, mentre si aggravavano le notizie relative al numero di vittime dell’attentato di Ankara, siamo stati ospitati nella sede della municipalità di Hdp a Suruç. Mentre ad Istanbul era già in corso un corteo contro gli attacchi, il partito di Demirtas ha deciso di denunciare direttamente da qui l’accaduto. Mancano tre settimane alle elezioni che dovrebbero risolvere le incertezze di questa fase transitoria e la strage di questa mattina, che richiama le stesse dinamiche degli attentati dello scorso giugno al comizio di Demirtas a Diyarbakir, non possono che rendere incandescente il già traballante scenario politico turco.

La volata di Hdp, che ha superato per la prima volta lo sbarramento del 10% nel corso dell’ultima tornata elettorale, ha sorpreso il partito di maggioranza relativa. Questa sorpresa si è presto mutata in paura, in molti hanno interesse a fermare l’avanzata di un movimento che non si rivolge più solo ai kurdi ma parla di diritti, uguaglianza e democrazia per tutti.