Fin dalle prime ore dopo l’attacco di Monaco, la stampa si è abbandonata alle teorie più fantasiose. Al centro di alcune di esse, un presunto legame con l’Isis. Un collegamento debole e smentito dai fatti, ma cavalcato dalla rete e rinfocolato dalle teorie cospirative più diverse.

Eppure, fatto che hanno dimenticato in molti, in Iran – terra d’origine dell’attentatore, il diciottenne David Ali Sonboli – l’Isis non esiste. Teheran è anzi in prima fila da anni nel supporto ad Assad e nella lotta contro ribelli e milizie islamiste, inclusi gli uomini del Califfo. Uno scontro che è costato a Teheran centinaia di morti.
Le origini iraniane della famiglia del giovane, nato in Germania e con doppia cittadinanza, sono utili per tracciare un ritratto di Sonboli, ma da una prospettiva diversa. Ci riferiamo alle sue simpatie per l’estrema destra.

Un legame comprovato anche dalla data stessa dell’attentato, avvenuto il 22 luglio, a 5 anni esatti dalla strage del terrorista norvegese Anders Breivik. Un fatto, come riferito dagli inquirenti, non casuale, e alla base di un caso di emulazione.

Ma non finisce qui. Le rivelazioni del quotidiano Frankfurter Allgemeine Zeitung (Faz) – che citano fonti delle forze di sicurezza – ci danno un quadro più preciso e inquietante della psicologia del ragazzo. Fiero di essere nato lo stesso giorno di Hitler, il 20 aprile, Sonboli sarebbe stato anche orgoglioso – riferisce la Faz – della sua doppia origine iraniana e tedesca, in entrambi i casi «ariana». Un riferimento, quello alla teoria razziale dell’arianesimo, non casuale in un iraniano, e soprattutto fra quelli della diaspora. Il tema, tipico della propaganda nazista, ha infatti trovato terreno fertile nel Paese sia dall’epoca degli scià della dinastia Pahlavi, che avevano fatto del nazionalismo la loro marca ideologica. Uno sciovinismo non privo di tratti razzisti, in particolare nei confronti dei vicini dell’Iran, arabi e turchi, da cui ci si voleva diversi e migliori.

La diffusione in Iran di questa teoria razziale, da noi morta e sepolta, andrebbe rintracciata secondo gli storici alla stessa propaganda hiltleriana, all’epoca dei legami fra il Terzo Reich e il primo scià della dinastia Pahlavi. Una vicinanza, quella alla Germania, giocata dal sovrano negli anni trenta e fino alla guerra nel tentativo di ridimensionare l’influenza di Gran Bretagna e Russia nel Paese. Ma dovuta anche a una simpatia ideologica del sovrano. Del 1935 è, non a caso, un decreto regio che prevede la modifica del nome del Paese da Persia a Iran, che significa la «terra degli ariani». Fiera della sua origine altra, rispetto agli arabi «semiti», la dinastia Pahlavi ha cavalcato la teoria razziale nazista, con il risultato che essa è oggi ancora diffusa, nonostante la rivoluzione khomeinista e l’avvento della Repubblica islamica.

Elementi che compongono un profilo che corrisponde perfettamente a quello del giovane attentatore, che avrebbe ucciso – secondo un pista seguita dagli inquirenti – con motivazioni razziste. A riprova di ciò, anche il profilo delle vittime: tutte e nove di origini straniere – troppo, anche per una città multietnica come Monaco. Fra loro, quattro turchi e tre kosovari. Ma non è tutto. Con sé aveva circa 300 proiettili e, secondo questa ipotesi, se il numero delle vittime non è stato superiore è proprio perché Sonboli mirava con cura, andando a caccia solo di «non-ariani», di stranieri. Un’identità in cortocircuito, quella del giovane, che – come testimonia un video – gridava «io sono tedesco» sulla scena del crimine, abbandonandosi a insulti razzisti.