Nelle date delle manifestazioni per il Giorno della Memoria, Trieste che ha avuto l’unico campo di sterminio nazista sul territorio italiano, la Risiera oggi trasformata a monumento nazionale e museo, vi ha ospitato una mostra particolarmente rivelatrice e piuttosto inedita negli studi della propaganda antisemita, anche se essa aveva già avuto un primo allestimento a Zagabria nel 2013. Si tratta della mostra che presenta 17 dei 20 manifesti originali (i 3 rimanenti sono stati ritrovati solo in riproduzione) che costituirono l’elemento “estetico” realizzato per la mostra antimassonica nella collaborazionista Belgrado del 1941 (e a cui l’anno dopo seguì l’emissione di 4 francobolli anch’essi qui riproposti).

L’iniziativa triestina fa parte della manifestazione Ai confini dell’ebraismo realizzata dall’associazione Cizerouno per cura di Mila Lazic. La cura della mostra zagabrese e della sua ripresa triestina è invece del grafico e designer Mirko Ilic, che nei giorni di presenza a Trieste ha anche tenuto al Liceo Dante una lezione agli studenti ma aperta al pubblico sui “simboli dell’odio” recuperati dagli odierni gruppi neonazisti.

Ilic è un personaggio dal curriculum biografico e artistico molto significativo. Nato a Bjeljina, nella multietnica Bosnia-Erzegovina, si è diplomato a Zagabia (Croazia) in arti applicate, è diventato redattore della rivista giovanile «Polet», e ha fondato la rivista di fumetti d’autore «Novi kvadrat» (“nuovo quadrato”), sostantivo che in croato può includere sia la vignetta del fumetto che il fotogramma del film. Se la prestigiosa tradizione del fumetto croato l’ha rivolto verso una sua realizzazione più d’autore, è il cinema che è diventato sponda ulteriore delle attività di Ilic, quando egli nel 1986 migrò a New York, da dove non solo divenne collaboratore grafico di «Time» e «New York Times» ma vi conobbe il produttore croato Branko Lustig, partner di Steven Spielberg. Ilic ci tiene a sottolineare di non essere ebreo ma di trattare l’antisemitismo all’interno di una propria generale predisposizione ad alzare le antenne verso gli atti d’intolleranza. Con Lustig nel 2008, nella nuova Croazia, fonda il Jewish Film Festival il cui nome si completa successivamente in Festival of Tolerance, ed è all’interno di questo che nel 2013 si era realizzata la prima esposizione di questi manifesti. E’ il rientro di un’élite ebraica o comunque cosmopolita dagli Stati Uniti che la sottrassero alle recenti guerre.

Appare molto significativo che la mostra del 1941 sia avvenuta a Belgrado, e non invece nella Zagabria totalmente allineata al nazismo ed attivamente antisemita. La capitale serba invece doveva essere ancora definitivamente convinta, coinvolgendo nell’opera i collaborazionisti guidati da Milan Nedic, un “quisling” per opportunismo più che un fervente alleato come il “poglavnik” croato Ante Pavelic. Viene in mente la splendida sequenza del film croato di Branko Bauer Ne okreći se sine realizzato nel 1956, dove la pattuglia che parte per il rastrellamento chiede ai capi: «si va a prendere dei comunisti?», e la risposta è: «no, ebrei e serbi», scambio di battute che appare provocatorio sia in epoca comunista che in quella dei successivi nazionalismi, degno di stare accanto al coraggio di certe battute di Aurenche e Bost nella Francia occupata, come pure accanto all’intima divisione con cui i polacchi di origine ebraica (in tutta la loro splendida diversità che va da Aleksander Ford a Andrzej Munk) potevano aderire al potere socialista.

Di fronte all’attivo sterminio dello Stato Croato Indipendente, l’antisemitismo in Serbia si è camuffato in questa mostra belgradese da propaganda antimassonica (che meglio consentiva di coniugare tutti i poteri economici dell’organismo sociale), anche se poi in ciascuno dei manifesti esposti è l’ebreo che manovrerebbe massoneria, democrazia, capitalismo e tutto il resto. Il neoalleato delle democrazie Josif Stalin viene rappresentato come l’ultimo dei servi, quello sulle cui spalle gli altri si fanno portare, e che in uno dei manifesti dichiara: «ecco, ho sciolto il Komintern come mi avete chiesto». Si tratta del manifesto più perfidamente sottile (probabilmente rivolto anche alla dissuasione verso la resistenza titina già tendenzialmente maggioritaria rispetto a quella nazionale di Draza Mihajlovic), gli altri manifesti sembrano spesso acquisire alla propaganda antisemita uno stile grafico da espressionismo arte degenerata… Particolarmente notevole il manifesto in cui l’ebreo dominatore tira le fila di un gruppo di ragni (che ovviamente sono democrazia, capitalismo, massoneria e comunismo) di stilizzazione quasi langhiana, insomma una reincarnazione nazificata del Mabuse.

Un altro elemento che torna è quello del mappamondo dominato dall’ebreo, e qui non si può non pensare a come Chaplin l’abbia rovesciato come oggetto di dominio del grande dittatore.

I disegnatori di questi manifesti restano anonimi, ed essendo essi stati realizzati appositamente per la mostra di Belgrado resta il dubbio di quanto siano nati in Germania e quanto invece in Serbia (ma i testi in cirillico non appaiono mere traduzioni dal tedesco, s’inseriscono perfettamente nella grafica generale). Sia la Serbia che la Croazia hanno avuto notevoli movimenti d’avanguardia, e sarebbe interessante scoprire se qualcuno degli autori dei manifesti ne proviene. Ilic non ha reperito dati a riguardo, e tutta questa raccolta di 17 manifesti gli è arrivata da un’asta americana, peraltro in condizioni di conservazione perfette. Comunque stiano le cose, si tratta di un corpus notevole, che non sembra corrispondere in pieno alle scelte grafiche della propaganda tedesca, che si era lasciata alle spalle gli “espressionismi”, mentre alcuni di questi manifesti riecheggiano codici quasi grosziani da Weimar.

Questo dato s’incontra alla perfezione con l’attenzione che oggi Ilic rivolge alle mutazioni dei simboli politici dentro la propaganda “dell’odio” che trova terreno soprattutto negli stadi e nell’azione degli ultras. Nella bella lezione per gli studenti Ilic ha fatto vedere immagini in cui anche dei marchi commerciali possono mutarsi a simboli politici, soprattutto quando contengono delle simil-croci adattabili a quelle uncinate o a quelle celtiche già mutuate dagli skinheads, talché simboli che in altri tempi furono ostili tra loro (pagani e cristiani, per esempio) finiscono per entrare in un unico continuum grafico. Ilic ha parecchio ironizzato su come gli stessi simboli vengano usati da croati contro serbi come viceversa, oppure dai neonazisti ucraini contro i neonazisti russi e viceversa. E su come torni l’automatismo di riferire le azioni più diverse ai simboli ebraici, per esempio nel disegnare la stella di Davide nelle caricature degli aerei NATO che bombardavano la Serbia.

Il disincanto di Ilic parte da convinzioni molto solide di come i messaggi propagandistici si relativizzino a vicenda ma ciò che non vi si relativizza è la scelta di indirizzarsi sul terreno dell’odio: il suo oggetto può diventare intercambiabile ma la pratica dell’odio è la scelta che va spezzata.

Gli eventi cui ha partecipato Ilic si sono inseriti in un modo non rituale negli appuntamenti della Memoria. Già vedere i manifesti in mezzo ai pannelli dell’esposizione fissa della Risiera è stato uno choc visivo notevole, le presenze si sono rafforzate a vicenda, e le tristi immagini della storia del campo triestino hanno trovato il segno beffardo giustamente rovesciato nei pannelli dei manifesti antisemiti. Insomma una scelta esemplare, che ci conferma quanto riteniamo da tempo, che vedere oggi Jud Süss di Veit Harlan è il miglior modo per reagirvi, e che vedere oggi Hitlerjunge Queux di Steinhoff è una delle migliori lezioni sul perché negli anni ’30 i fascismi hanno prevalso. Ilic non ha disdegnato l’umorismo nell’osservare le cose: «quando si riuniscono tre persone di sinistra cominciano col fondare quattro partiti, quando si riuniscono tre di destra decidono innanzitutto la linea delle divise».