La fama di James Salter ha subito in patria un grande balzo in avanti con la pubblicazione, nel 2013, della raccolta completa dei suoi magnifici racconti e del suo ultimo romanzo, Tutto quel che è la vita: forse il suo libro di maggior respiro, salutato dalla critica, e soprattutto dai colleghi scrittori, come la summa di un’arte narrativa fondata su una costante ricerca dell’essenzialità, della sintesi, del flaubertiano mot juste; e dunque su un paziente lavoro di intarsio e di cesellatura che sembra – in un contesto culturale sempre più dominato dalle leggi del mercato e di una celebrità spesso effimera – appartenere letteralmente a un’altra epoca.

Pubblicato quando l’autore aveva ottantotto anni e proposto al pubblico italiano, con grande successo, nel 2014, Tutto quel che è la vita è stato anche il testamento di Salter, il quale si è spento lo scorso 19 giugno, fresco novantenne, lasciandoci la sintetica quanto ingombrante eredità di altri cinque romanzi e di alcuni, raffinati volumi di nonfiction: il distillato estremo di una carriera durata un sessantennio e apertasi, nel 1957, con The Hunters (personalissima variazione sulla narrativa bellica).
Ora l’editore italiano di Salter, Guanda, dopo il magnifico Una perfetta felicità, prosegue nella pubblicazione dell’opera omnia riproponendo (dopo dieci anni dalla prima uscita presso la Bur, passata del tutto inosservata), Un gioco e un passatempo, il suo terzo romanzo (traduzione elegante e felice di Delfina Vezzoli, pp. 253 euro  16,00), al quale per molti anni, e prima del rilancio semi-postumo, è stata legata la fama dell’autore. Salutato come piccolo capolavoro di erotismo, ora accostato, forse anche grazie alla comune ambientazione francese, a Jules e Jim, il film capolavoro di Truffaut uscito cinque anni prima – ora alla scrittura di maestri come Henry Miller – per la gioiosa esplicitezza con cui è rappresentato il sesso – e a Vladimir Nabokov – per l’eleganza della scrittura – Un gioco e un passatempo, riletto oggi, a quasi cinquant’anni dalla sua pubblicazione e alla luce dell’intero percorso artistico di Salter, acquista una luce almeno in parte differente.

La trama del romanzo è relativamente semplice e lineare, tutta centrata sulla storia d’amore, consumata nel torno di pochi mesi, tra Phillip Dean, americano, giovane e irrequieto, transfuga da Yale, dove ha abbandonato gli studi, e in giro per la Francia con un’auto di lusso prestatagli da un amico, e la cameriera diciottenne Ann-Marie. Un amour fou, coltivato tra viaggi e alberghi, all’insegna di una fisicità sempre più esplicita, che si conclude con il ritorno di Dean in America, cui seguirà un epilogo tragico.

L’intera storia è raccontata da un anonimo narratore, il quale ha scelto di vivere nella placida e sonnolenta provincia francese, convinto di potervi trovare un’autenticità ormai irreperibile nella frivola Parigi degli espatriati e dei ricchi, per poi catturarla e riprodurla nelle foto con le quali si guadagna da vivere. È questo personaggio senza nome a ospitare Dean nella casa di Autun dove abita; è in sua compagnia che Dean conosce Ann-Marie ed è la sua voce inconfondibile a raccontare la storia d’amore dei due ragazzi, inventando, colmando vuoti, proiettando sul furibondo vitalismo dell’amico tutta la propria, fisiologica incapacità di amare e di tuffarsi in prima persona nel flusso dell’esistenza.

La relazione dialettica e complessa tra il narratore e Dean è forse il vero motore del romanzo, e attiva un sistema di richiami, più o meno espliciti, che colloca Un gioco e un passatempo nel cuore della tradizione americana. Se i pellegrinaggi alcolici in una Parigi totalmente inautentica e di maniera sembrano riecheggiare le pagine francesi di Fiesta, il capolavoro giovanile di Hemingway, l’intensità e la profondità con cui l’io narrante guarda e per certi versi «inventa» il mondo intorno a sé, attingendo alla sua stessa, fisiologica incapacità di vivere e amare in prima persona e non «per procura», collocano questa anonima voce assai vicina ai grandi personaggi dell’Henry James più maturo: primo fra tutti, il Lambert Strether degli Ambasciatori. Quanto a Dean, che non a caso il narratore – a differenza di Ann-Marie – chiama sempre e solo per cognome, i richiami non potrebbero essere più espliciti e letterali: a James Dean, in primo luogo, icona del ribellismo giovanile (e non stupisca il riferimento a una star del cinema: Salter, negli stessi anni in cui scriveva Un gioco e un passatempo, si guadagnava da vivere come sceneggiatore) al quale il personaggio omonimo somiglia perfino fisicamente, con il suo corpo magro e tonico, il viso scavato, lo sguardo intenso e nervoso; ma anche a Dean Moriarty, coprotagonista di Sulla strada di Jack Kerouac, totem della generazione beat e del suo rifiuto delle convenzioni e della staticità di un’esistenza borghese, nel nome della trasgressione e del viaggio.

Partendo dal rapporto complesso tra i suoi due protagonisti maschili, il terzo romanzo di Salter si configura, allora e in primo luogo, come una immersione nell’esperienza dell’espatrio, a caccia di uno sguardo sulle cose e sulla vita nuovo e diverso proprio perché antico, segnato dalla storia, profondamente non-americano; e si precisa come l’irruzione, dentro questo spazio diverso, quieto, sonnolento, segnato dal gelo, dalla pioggia, da una lentezza quasi ieratica di uomini e cose, di una gioventù brutale e appassionata che tutto brucia alla velocità della luce, con un crescendo di prepotente fisicità che il narratore è condannato, in un misto di invidia e fastidio, a contemplare e forse anche a raccontare.

L’amour fou tra Dean e Ann-Marie è il fulcro della trama, ma non del romanzo: che è e rimane prima di tutto la storia di una impotenza, della incapacità di vivere e di una distanza dal cuore delle cose e degli eventi che acuisce i sensi, trasformando il racconto in una sequenza di istantanee indimenticabili, dolorose nella loro fisicità tutta mediata e di invenzione. C’è un punto, al centro dell’ottavo capitolo, nel quale l’anonimo narratore spiega in termini chiarissimi il suo progetto. «Certe cose – dichiara – ricordo esattamente com’erano. Sono solo un po’ scolorite dal tempo, come monete nella tasca di un abito dimenticato. Gran parte dei dettagli, però, sono stati trasformati da un pezzo, o riorganizzati per far posto ad altri. Per la verità, alcuni sono evidentemente contraffatti, ma non per questo sono meno importanti. Il passato lo si altera per modellare il futuro». Questo dunque è il lavoro che la voce narrante, e con lui lo scrittore, effettua sulle cose e sui dettagli: non esita ad adattarli o a operare una vera e propria contraffazione, modellando i fatti a posteriori nel nome di un disegno che appartiene a lui stesso prima che agli esseri umani oggetto del suo sguardo.

«Il passato multiforme penetra in noi», prosegue, «e scompare. Salvo che al suo interno, da qualche parte, simili a diamanti, esistono i frammenti che si oppongono alla distruzione. Lavorando di setaccio, se si osa, e raccogliendoli, si scopre il vero disegno». Una dichiarazione di poetica nella quale, con quasi cinquant’anni di anticipo, sembrano risuonare le parole dell’epigrafe di Tutto quel che è la vita: «C’è un momento della vita in cui ti rendi conto che tutto è sogno, e che soltanto le cose preservate dalla scrittura hanno qualche possibilità di essere reali». Prima ancora che un romanzo erotico, o una storia d’amore, Un gioco e un passatempo si offre al lettore, nella sua forma compressa, nella brevità stessa dei suoi capitoli, nella natura incerta, sospesa, quasi onirica della scansione temporale – basti pensare alla frase con cui si apre il libro: «Settembre. Sembra che queste giornate luminose non debbano finire mai» –, come una raccolta di frammenti passati al setaccio della memoria, depurati fino ad assumere la dura consistenza e lo spessore dei diamanti. Che si tratti di un paesaggio scorto dal finestrino di un treno in corsa, come nel primo, memorabile capitolo, o di un incontro erotico, descritto nei minimi dettagli corporei, tutto, in questo libro miracoloso, è sottoposto al filtro di una scrittura e di uno sguardo che non esitano a fingere, o inventare. E tutto, proprio grazie a questa operazione spregiudicata, sorretta da un amore e da una fiducia assoluta nella parola, acquista agli occhi di chi legge un’evidenza e una luminosità che tolgono il fiato, e che fanno di Un gioco e un passatempo un passaggio fondamentale nell’evoluzione di uno dei maestri del romanzo contemporaneo.