In settembre, a Ruvo di Puglia, sul palco del Talos Festival faceva effetto ritrovare l’ICP Orchestra e non vedere un pianoforte. Un vuoto raccontato da un documentario del 2013 proiettato in uno dei momenti collaterali ai concerti, Misha and so on di Cherry Duyns: un delicato ritratto di Misha Mengelberg ma anche dei suoi compagni dell’ICP nel duro confronto con la malattia che stava facendo progressivamente scivolare nell’inconsapevolezza un musicista di intelligenza e lucidità tanto rare, un uomo con cui i musicisti dell’ICP, a cominciare da Han Bennink, hanno condiviso decenni di invenzioni musicali, concerti, tournée, tutta una vita in comune. Per chi ha amato Mengelberg, anche conoscendolo soltanto attraverso la sua musica e la sua presenza in scena, un documentario persino difficile da sostenere, ma voluto anche da una associazione che si occupa di pazienti affetti da alzheimer, e la cui realizzazione sarà certamente servita ai suoi amici dell’ICP, che nel film spesso stentano a trattenere la commozione, ad elaborare il lutto.

E dell’elaborazione del lutto anche quell’assenza del pianoforte faceva ancora parte. Misha and so on è stato ripreso in apertura della sua dodicesima edizione da Novara Jazz, che, anche in omaggio agli ottant’anni di Misha (li compirà il prossimo 5 giugno), ha quest’anno il suo focus principale sul jazz olandese, e come clou l’esibizione dell’ICP Orchestra, culmine sabato scorso della prima settimana di programmazione. Nella sala del Museo Tornielli di Ameno, dove il concerto, previsto all’aperto, è stato spostato causa maltempo, il pianoforte c’era. Alla tastiera Guus Janssen, che, anche se la decisione non è ancora definitiva, potrebbe diventare il pianista regolare della formazione. Janssen è un pianista eccellente, e una figura di riferimento del jazz olandese di ricerca, ma nessuno può davvero sostituire Mengelberg, cofondatore nel ’67 assieme a Bennink (collaborano fin dal principio dei sessanta, e sono assieme accanto a Eric Dolphy in Last Date, 1964) e al sassofonista Willem Breuker, altro caposcuola dell’improvvisazione dei Paesi Bassi e in generale europea, dell’Instant Composers Pool: collettivo da cui originano diverse formazioni e sodalizi, fino al coagularsi negli anni settanta (dopo l’abbandono di Breuker, che forma il suo Kollektief, altra formazione-faro dell’improvvisazione europea) dell’ICP Orchestra.

Pianista sublime per sensibilità e cultura, per la capacità col suo tocco di indirizzare l’orchestra, Mengelberg è stato inoltre lo stratega, anche impiegando gustose procedure, dell’imprevedibilità e dell’estemporaneità. Oggi in realtà l’autodestabilizzazione del discorso, un certo delizioso anarchismo, non sembrano più rappresenta un elemento essenziale della pratica dell’ICP. Che però merita certamente un futuro oltre Mengelberg, perchè, come a Novara Jazz si è potuto constatare una volta di più, continua ad essere esemplare sotto diversi profili: nel sofisticato repertorio di composizioni originali e di arrangiamenti, in buona parte di Mengelberg, e nella qualità dei componenti, tutti veterani della formazione; nel portare avanti la logica molto olandese del mix di linguaggio avanzato e di intrattenimento, per quanto non convenzionale; nella capacità di rileggere il jazz storico in maniera non conformista, ma anche restituendone, come è raro sentire, la consistenza; nei rapidi e spesso bizzarri “cambi di scena” musicali; nella dialettica di composizione/arrangiamento e di passaggi improvvisati da singoli o da alcuni elementi della compagine. Memorabile, già all’inizio del concerto, dopo l’apertura con Criss Cross di Monk nell’arrangiamento di Mengelberg, Een beetje zenuwachtig (“Un po’ nervoso”) di Mengelberg, con un un formidabile vociare del sax alto di Michael Moore e dei tenori di Ab Baars e Tobias Delius, per molti aspetti sgraziato, veramente irrituale e contemporaneo, a cui di colpo segue un ritmo latinoamericano, che poi a sua volta lascia il posto ad uno sconquasso free. E poi Rollo 3, sempre di Mengelberg, in cui i fiati – oltre ai sax o clarinetti ci sono il trombone di Wolter Wierbos e la tromba di Thomas Heberer – suonano come una orchestra jazz degli anni cinquanta, a cui la viola di Mary Oliver imprime però una surreale torsione popolaresca.

O il finale con Lavoro, in cui emergono subito nel ritmo e nella melodia gli accenti del Sudafrica che l’indimenticato autore, il bianco Sean Bergin, aveva lasciato in spregio all’apartheid, con le parole cantate in italiano dal violoncellista Tristan Honsinger e la perentoria batteria di Bennink. L’ICP torna l’8 novembre al Teatro Manzoni di Milano in apertura del ciclo Aperitivo in concerto. Da vedere, intanto, all’Opificio di Novara, la mostra fotografica di Francesca Patella Twenty years with ICP Orchestra.