Al manifesto politico – canale massmediatico datato e prevalente dei regimi a partito unico – le Manifatture Knos di Lecce dedicano una raccolta di immagini intrise di creatività artistica e di propaganda di stato. Poco meno di un centinaio di manifesti originali realizzati al tempo della cortina di ferro che separava le democrazie liberiste dell’Occidente dal blocco dei paesi socialisti dell’Est europeo. Li ha collezionati la ceca Katarina Gatialova, storica dell’arte, per la mostra La faccia del potere, in occasione del venticinquesimo anniversario della Rivoluzione di velluto, non violenta, che segnò la caduta del regime comunista in Cecoslovacchia. La rassegna pone in primo piano il rapporto fra arte e politica, ovvero l’uso e i condizionamenti dell’attività artistica da parte del potere. Che dal 1948 al 1989 in Cecoslovacchia, come negli altri paesi dell’ex Patto di Varsavia, venne esercitata con una pesante influenza – di fatto una vera sorveglianza armata – del «grande fratello» sovietico.
Attraverso i manifesti politici si ricava una lettura di storia, lunga 40 anni, del pensiero unico dominante; al contempo, anche una storia dei manifesti politici. I quali via via nei decenni, fino all’abbattimento del Muro di Berlino nell’89, evidenziano un affievolimento del messaggio ideologico di cui invece erano pregni inizialmente. I manifesti sono catalogati per caratteristiche formali e concettuali. Se nel decennio ’50 i loro contenuti risaltavano di epicità per ogni avvenimento, sia relativo alla ricostruzione postbellica sia al crescente sviluppo dell’industria, nel decennio successivo compare un approccio meno condizionato da idee preconcette e già proiettato verso tematiche alternative: a esempio la pace nel mondo (da conquistare comunque mediante l’uso delle armi) o l’esplorazione scientifico-spaziale con lodi sperticate agli astronauti (nuovi eroi della patria). Nei decenni ’70 e ’80 si registra un ritorno alla propaganda delle origini, un riaggancio agli scenari nazional-popolari in cui venivano costantemente rappresentati i leader comunisti dai volti imbalsamati già da vivi, le masse nelle piazze, le parate della milizia popolare e dei lavoratori in marcia con bandiere rosse e striscioni: tutta l’iconografia tradizionale del periodo. Ma è tardi, l’ideologia ha perso slancio e dinamismo, gli slogan si banalizzano in parole stantie e vuote: le immagini sono sì corredate da frasi didascaliche ancora ad effetto, prive però di senso della realtà che intanto è già mutata.
La mostra è preordinata secondo lo schema temporale proprio della propaganda, ricalcando un calendario scandito dalle ricorrenze ufficiali di avvenimenti storici dell’era comunista. I manifesti, relativi a ciascun avvenimento, sono raggruppati nell’ambito di nove date. La sequenza prende avvio con la ricorrenza della settimana fra il 17 e il 25 febbraio 1948. L’anno è quello del colpo di stato del partito comunista cecoslovacco, appoggiato dai sovietici, che portò all’assunzione del governo del paese e di potere incontrastato per oltre 40 anni.
A marzo, l’8, viene celebrata la figura della donna, alla quale, così come per i bambini, sono associati i temi della pace e del disarmo: durante i festeggiamenti si salutava l’operosità della popolazione femminile.
Conosciuta dappertutto come giornata dei lavoratori, la ricorrenza del primo maggio prefigura parate e cortei per le strade di città e villaggi. Il 9 dello stesso mese, nel blocco socialista, è il giorno della vittoria contro fascismo e nazismo, quindi la fine della seconda guerra mondiale con la resa della Germania firmata l’8 maggio 1945. Il 29 agosto è un’altra data significativa del periodo bellico: ricorda l’insurrezione nazionale durante l’occupazione tedesca del territorio slovacco nel 1944. L’avvenimento si concluse col soffocamento della rivolta armata del movimento di resistenza, ma la propaganda comunista manipolò il dato storico celebrando l’insurrezione come una vittoria.
Al 21 settembre si datano i festeggiamenti della stampa, della radio e della televisione: per la propaganda era l’occasione di autocelebrarsi mediante l’uso insistente dei mass media. Il giorno della nazionalizzazione si commemora il 28 ottobre. Tutto ciò che era stato privato, dalle fabbriche agli edifici per abitazioni, diventa pubblico e inglobato nello stato. Infine i manifesti celebrativi dell’Ottobre rosso: la rivoluzione bolscevica rappresenta la presa del potere nel 1917. Anche se l’insurrezione armata di Petrograd porta la data del 25 ottobre nel resto del mondo, per il calendario giuliano in vigore in Russia si faceva corrispondere al 7 novembre.