Ventiduemila, questo è il numero degli abitanti di Roseburg, in Oregon, dove si è svolto l’ennesimo omicidio di massa americano. Nel «city college», piccola università cittadina, in un paese in cui tutti conoscono tutti e si va a scuola insieme sin dalle elementari. Ancora una volta il gesto di un folle e ancora una volta questo folle è un giovane uomo bianco, armato.

Poche ore dopo la strage, Obama ha tenuto un discorso accorato, pieno di rabbia come raramente lo si è visto, tanto che a tratti è incespicato e si è dovuto fermare per poter andare avanti. Tutto il discorso trasmetteva la consapevolezza di chi vede la soluzione a un problema, ma anche il muro contro il quale questa soluzione si infrange, costantemente, da anni.

In America c’è un problema con le armi e il possesso di queste armi va ristretto (di molto) e regolamentato. Sembra tutto molto semplice e logico ed è invece uno dei nodi cruciali della società e quindi della politica americana, che vede nettamente separati i due fronti: tutti i repubblicani difendono il secondo emendamento e il diritto di possedere armi in modo indiscriminato, mentre la maggior parte dei democratici (non tutti) è di idea opposta.

In questa situazione c’è un presidente che se fosse per lui farebbe passare nuove leggi restrittive sulle armi in 24 ore e un congresso che di controllo delle armi non vuole neppure sentir parlare.

[do action=”quote” autore=”Barack Obama”]«Domani diranno che Obama ha politicizzato questo avvenimento ed è vero. Questo è un problema politico. Chiedo ai giornalisti di pubblicare i dati comparando il numero degli americani morti per atti terroristici e quello di americani morti per arma da fuoco»[/do]

«Domani diranno che Obama ha politicizzato questo avvenimento – ha detto il presidente – ed è vero. Questo è un problema politico». La linea della lobby delle armi, anche subito dopo un massacro di queste dimensioni è sempre la stessa: se le vittime avessero avuto a loro volta delle armi, avrebbero avuto dei mezzi per difendersi. «A questa affermazione – ha detto Obama – rispondo guardando le statistiche. Quello di oggi è stato il gesto di un folle ma i folli non sono appannaggio americano. Guardate ad altri paesi che hanno regolamentato il possesso di armi, Stati come il Canada, l’Australia, non ci sono numeri come questi. Io chiedo ai giornalisti di pubblicare i dati comparando il numero degli americani morti per atti terroristici e quello di americani morti per arma da fuoco».

La risposta non si è fatta attendere, pochi minuti dopo il Washington post già pubblicava su Twitter un suo vecchio articolo contenente proprio quei dati, perché questo frangente è fin troppo comune e ricorrente e le posizioni sono note.

Da qualche tempo – e specialmente dopo il massacro nella chiesa di Charleston -, sono in molti a chiedere di non definire questi episodi mass shooting, omicidi di massa, ma «atti di terrorismo interno», un terrorismo americano prodotto dall’essenza stessa dell’America.

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La difesa della libertà praticamente illimitata di possedere delle armi non si sviluppa solo in quell’America rurale e isolata di Stati sperduti in una nazione grande come un continente, ma anche dalla civilissima e progressista costa Ovest che mal sopporta l’ingerenza del potere centrale nei propri affari, un potere centrale che è percepito come distante e alieno.

Questo tipo di abito mentale è il migliore alleato della Nra, la National Rifle Association, potente lobby delle armi che continua a riproporre il proprio proprio slogan come un mantra: «Non sono le armi ad uccidere la gente, sono gli uomini che uccidono la gente».

Tutto il buon senso e la dialettica del mondo sembrano infrangersi contro questo blocco granitico che vede nel possesso di un mitra un valore da difendere e non il mezzo per operare carneficine insensate.

Tutta la buona volontà di un presidente in carica non basta per cambiare le cose. Se neppure il massacro di bambini a Sandy Hook, una scuola elementare del Connecticut, due anni fa, è riuscito, su quell’onda emotiva, a far cambiare le leggi, non si vedono speranze. In quell’occasione Obama aveva l’appoggio del suo partito, di personaggi come Bloomberg, miliardario, potere forte e ai tempi sindaco di New York, ma se qualche Stato è riuscito a fare leggi più restrittive, a livello federale non è cambiato nulla.

«Sono qui ogni due mesi a fare sempre lo stesso discorso da questo podio e non mi stancherò di farlo, spero sia l’ultima volta della mia presidenza ma non sarà così».

Obama purtroppo ha ragione. Non sarà l’ultimo caso, non saranno le ultime vittime di un terrorismo interno creato dall’«American way of life». L’Nra tira fuori milioni per foraggiare un buon numero di politici, tra cui i candidati alle primarie repubblicane Ted Cruz e Marco Rubio.

«Che dio aiuti queste famiglie e ci dia il coraggio di cambiare», ha concluso Obama.