Il secondo giorno di convention è stato anche il secondo giorno di manifestazioni e cortei ed il protagonista assoluto ancora una volta è stato Bernie Sanders, ma non nel solito modo. In mattinata Sanders ha ripetuto il suo endorsement ad Hillary Clinton, durante un incontro istituzionale con i suoi delegati che però hanno risposto con i fischi.

Fuori dal perimetro della convention, intanto, si stavano formando due cortei, uno per Sanders e uno per Jill Stein, la rappresentante del partito dei verdi, vista da molti come l’ultima alternativa rimasta. I due cortei ad un certo punto sono confluiti per approdare entrambi alla convention diventando una massa di quasi 10mila persone che chiedevano che le proprie aspettative di cambiamento non venissero deluse.

Nel caldo torrido e umido di Filadelfia sembrava che l’elaborazione politica si stesse facendo per strada; le persone in corteo sono state chiare: non vogliono votare Clinton, nemmeno se questo significa rischiare di far vincere Trump. C’è chi milita tra i verdi da sempre ma c’è anche chi si è avvicinato alla politica per Sanders e vuole restare attivista: ma non con i democratici. E l’unica alternativa è Jill Stein che da mesi corteggia Sanders ed il suo elettorato. «Sanders se volesse  potrebbe correre con noi, in un ticket con Stein», dice Mike, 60enne dei verdi di Washington, «potremmo vincere le elezioni battendo sia Trump che Clinton,   Stein lo ripete da maggio». «Non posso votare per Hillary, è più forte di me – spiega Josh 34enne di Filadelfia con maglietta FeelTheBern -. Vorrei che i delegati oggi facessero dietrofront e si rimescolassero le carte. Questo non è un partito, è una rivoluzione. E i rivoluzionari non credono nei Clinton».

Di fatto erano vent’anni che in America non si vedevano migliaia di persone in strada per i verdi, dai tempi di Ralph Nader la cui ascesa era stata fermata da quell’enorme bicchiere di acqua gelida che è stata l’elezione (rubata) di Bush Jr nel 2000. In quell’occasione Nader aveva sfiorato la mitica soglia che avrebbe permesso la nascita del terzo polo, ma l’ondata Bush, 9/11 e repressione aveva cancellato tutto. Sedici  anni dopo il desiderio di una politica nuova e l’odio bipartisan per l’establishement son più forti che mai, hanno generato Trump, Sanders e ora  Stein. Il corteo ha sfilato senza incidenti, lo stesso le manifestazioni fuori il perimetro della zona rossa della convention, anche se a fine giornata si sono contati 55 fermi per atti di disobbedienza più civile che disobbediente.

Gli attivisti, in fila per scavalcare le transenne, dall’altra parte trovavano un poliziotto gentilissimo che li ammanettava delicatamente; l’attivista si metteva con gli altri ammanettati e il poliziotto ammanettava il successivo. «Vogliamo far pressione su i delegati – dice Paula di Democracy Spring – La base di Sanders vuole lui, non votare per lei». La pressione passa anche da atti dimostrativi di questo genere. «Se sei bianco fai tutti gli atti dimostrativi che vuoi», commenta Mel, afroamericana di New York, attivista di Black Lives Matter mentre entra alla convention, sostenitrice convinta di Clinton: essere duro e puro è un lusso da bianchi.

All’interno della convention l’atmosfera è tutt’altra. Attivisti di Sanders ovunque, seduti per terra a discutere, spesso intorno un telefonino seguendo le proteste di fuori. Perché non sei fuori a manifestare? «Non fischio Sanders, lo sostengo –  risponde Kim, 40 anni di Denver – Anche votando per lei sostengo lui. È dura ma si farà». Un gruppo di militanti dell’Oregon è dello stesso parere. Il loro senatore Jeff Merkley ha fatto uno dei discorsi più pro Sanders spiegando perché bisogna votare per Clinton.

Merkley, aveva pronunciato uno degli interventi più belli e articolati durante il filibuster per il “gun control” del mese scorso ed è un democratico di  sinistra. Alla convention ha spiegato che avere una centrista old fashion, trascinata un po’ a sinistra da Sanders, sia   meglio di un fascista doc.

Ma quando a fine della giornata a parlare è Sanders a molti scendono le lacrime ascoltando il loro leader spiegare che ora la Politica Revolution passa per il fermare Trump, che Trump non deve essere eletto a nessun costo. «Vorrei votare per Stein ma non lo farò: sono vecchio abbastanza da ricordarmi come andò con Gore-Bush-Nader» dice Al, 50enne di Seattle riferendosi ai commenti secondo i quali buona parte della colpa dell’elezione di Bush andava ai verdi per aver sottratto voti a Gore, rendendo più facile il broglio.

Fuori si vede la rabbia della base. Dentro l’aria è triste. Nessun dice di aver cambiato opinione su Sanders, ma nemmeno che il suo discorso gli ha fatto cambiare idea. Ma se l’idea iniziale era «o Sanders o niente», invece che niente adesso è votare Stein. «Alla convention la rivoluzione è per strada, guarda a sinistra” ha titolato The Intercept riferendosi al corteo di Jill Stein; ma, si può aggiungere, non solo.

DeRay Mckesson, attivista di Black Lives Matter, presente alla convention, è uno dei personaggi più ricercati e  amati dalla base di Sanders, bianchi inclusi. Tutti vogliono parlargli, farsi fotografare con lui, discutere. Si era candidato come sindaco di Baltimora, ha già portato più volte le istanze di BLM alla Casa Bianca. Fa sperare che la nuova classe politica sia lì, in chi combatte per i diritti civili, non a solo scopo dimostrativo.