Con la moneta unica e la nascita della Bce, le considerazioni finali del governatore di Banca Italia (BI) hanno perso prestigio. Tutti gli interlocutori economici aspettavano questo appuntamento come un evento che, nel bene e nel male, condizionava la discussione. Con l’euro e la crisi economico-finanziaria le banche centrali nazionali hanno limitato il proprio raggio d’azione, ma BI sembra un’istituzione che non ha perso solo potere. Considerazione dopo considerazione BI ha eroso quell’aurea di autorevolezza che tutti eravamo disposti a concedere. La relazione di Visco è solo l’ultimo atto.

Alcune cose importanti sono state dette, ma la trama della relazione ha nascosto quel che di buono BI poteva consegnare alla politica. Inoltre, tra le considerazioni finali di Visco e la Relazione Annuale di Bi, con la sua non banale appendice statistica, c’è qualcosa che non funziona.

Sembra un cliché. Da troppo tempo le istituzioni nazionali e internazionali comunicano l’imminente crescita di investimenti, lavoro e Pil, ma la statistica allegata afferma l’esatto contrario, come se la mano destra non sapesse cosa sta fa la mano sinistra.

Non mancavano gli argomenti per una relazione all’altezza della storia di BI. Invece che attardarsi tra i «forse» e «dobbiamo aspettare» la crescita, Visco poteva dire in modo chiaro che «la politica monetaria da sola non può garantire una crescita duratura ed elevata», così come l’uscita dalla crisi necessita di «azioni di più ampia portata» che «richiederebbero un’autonoma capacità di finanziamento e di spesa dell’area. In prospettiva, una tale capacità potrebbe essere realizzata con l’istituzione di meccanismi di stabilizzazione automatica del ciclo economico, un primo passo verso una vera e propria unione di bilancio».

In altri termini, il Quantitative Easing è stato utile, ma sarebbe stata necessaria una piena condivisione dei rischi, più coerente con l’assetto della politica monetaria unica e il Trattato.

Se il QE ha spinto o alimentato il deprezzamento dell’euro è un dibattito che lascia il tempo che merita, ma l’aspetto centrale è un altro. Il beneficio della svalutazione dell’euro dipende dal portafoglio clienti. Se i principali partner commerciali dell’Italia sono all’interno della zona euro, il deprezzamento dell’euro non porterà benefici alla bilancia commerciale italiana, senza considerare la tendenza storica dell’industria italiana a considerare la competitività un problema di costo.

Su questo punto BI non è mai stata tenera con il tessuto produttivo nazionale, ma Visco dedica alla crisi dell’industria italiana uno spazio inversamente proporzionale alla profondità della stessa. Non basta dire «l’attività innovativa è in Italia meno intensa che negli altri principali paesi avanzati, soprattutto nel settore privato».

Il problema delle imprese italiane è di struttura. Non riguarda solo la capacità di svolgere attività di ricerca e sviluppo, piuttosto la specializzazione produttiva. Infatti, la domanda di lavoro da parte delle imprese più innovative potrebbe non bastare a riassorbire la disoccupazione nel breve periodo, semplicemente perché non abbiamo imprese innovative.

Infatti, la dinamica dell’occupazione riflette la debolezza della domanda e gli ampi margini di capacità produttiva inutilizzata. Sarebbe incomprensibile, diversamente, la valutazione attendista del Governatore sui provvedimenti del mercato del lavoro. Le istituzioni italiane, come quelle europee, non vivono un grande momento, ma la storia di BI, forse, meritava di più.