In California Hillary Clinton ha battuto Donald Trump col doppio dei voti, uno scarto di oltre 30% (62%-31%) che riflette l’opinione pubblica dello stato «profondo blu». Il parlamento di Sacramento, capitale dello stato, è controllato da anni da una super maggioranza democratica con oltre due terzi  dei parlamentari in camera e senato.

Ogni carica statale di rilevanza, dal governatore  in giù, è detenuta da un iscritto al partito democratico e nelle circoscrizioni che impongono una soglia minima di preferenze, le elezioni spesso somigliano più a primarie interne fra due candidati democratici. Questione di cultura politica e di demografia. Il trend progressista è andato di pari passo alla crescita della popolazione ispanica che da un paio di anni nel laboratorio multietnico dell’ovest, ha superato quella bianca. I 15 milioni di latinos californiani sono in stragrande maggioranza democratici anche grazie alle politiche anti-immigrati ostinatamente perseguite dal Gop da quando, negli anni ’90, il governatore reazionario Pete Wilson tentò di escludere i clandestini residenti in California (4 milioni circa) dai servizi sociali.

Una dinamica  che ha contribuito a fare, di quello che fu dopotutto lo stato di Reagan e Nixon, il  faro liberal del paese. E l’era Trump promette di vedere la California su posizioni antagoniste su tutta la linea a quelle della Casa Bianca.  Un anticipo c’è  stato quando poche ore dopo il voto dell’8 novembre, la senatrice  Kamala Harris, ha organizzato un incontro con le associazioni di latinos assicurandoli che «la California intende proteggere i diritti civili dei propri cittadini, di ogni etnia, se necessario anche dal  governo federale».

Non è certo solo in tema di immigrazione che la California coi suoi 35 milioni di abitanti  si troverà su posizioni diametralmente opposte  a quelle della neo amministrazione Trump. Dai matrimoni gay alle normative ambientali alla definitiva liberalizzazione della marijuana appena approvata per referendum, la «Left Coast» ha codificato in leggi una postura politica in netta controtendenza alla restaurazione trumpista in atto a Washington.

Lungi dal cercare una riconciliazione con la maggioranza popolare che ha votato contro di lui, nel suo «tour del ringraziamento» ha rincarato la dose negli stati «rossi» in cui è stato accolto da folle osannanti.  Nelle rare tappe californiane della sua campagna invece Trump si era limitato a comizi nel hinterland lontano dalle città. A giugno era stato costretto ad una rapida ritirata da San Francisco protetto dal servizio d’ordine contro I contestatori. A giugno suoi comizi a Orange County e San Diego erano terminati in colluttazioni.

La scorsa settimana al congresso plenario degli scienziati  dell’Unione Geofisica a San Francisco il popolare governatore Jerry Brown, pilastro della corrente liberal democratica, ha definito «assurde» le iniziative anti ambientaliste anticipate dal governo Trump, specificamente  l’abolizione  dei «satelliti politicamente corretti della Nasa» come un portavoce della squadra Trump ha definito il programma di monitoraggio ambientale gestito alla agenzia spaziale – sui cui dati la California basa le proprie norme atmosferiche. «C’è chi pensa  di rottamare i satelliti di rilevamento», ha replicato il 78enne governatore. «Se ce li tolgono, la California lancerà i propri dannati satelliti!».

Scienza e tecnologia sono dopotutto punta di diamante di quella che da sola rappresenta la sesta economia mondiale (un volume maggiore della Francia). Oltre alle numerose istallazioni californiane della  stessa Nasa (JPL, Caltech, Edwards, Ames…) due degli otto National Labs sono nella «Bay Area». Lawrence Livermore e Lawrence Berkeley svolgono ricerca fisica ed energetica avanzata (acceleratori di particelle, fusione nucleare ecc.). Questi ultimi ricadono sotto la giurisdizione del ministero dell’energia cui Trump ha appena destinato Rick Perry, l’ex governatore del Texas integralista evangelico, creazionista sostenitore della «teoria» del disegno intelligente e negazionista ambientale. È facile comprendere quindi l’ansia degli scienziati la cui ricerca (in California come in tutto oil paese) dipende dai  finanziamenti federale. Brown ha dichiarato che anche il laboratori californiani verrano protetti  da eventuali  disegni oscurantisti.

Lo stesso vale per le università, altro fiore all’occhiello dello stato, che potrebbero venirsi a trovare nel mirino dei trumpisti. La promessa di Trump di deportare «tutti i clandestini» ispanici (oltre 12 milioni di persone) comprende potenzialmente 800.000 giovani amnistiati dall’iniziativa di Obama (Daca) mirata a ragazzi giunti illegalmente nel paese a seguito delle loro famiglie, spesso nei primi anni di vita e che stanno completando gli studi. Decine di migliaia di questi sono iscritti ai campus della University of  California. Il presidente degli atenei statali, Janet Napolitano, ha difeso in un editoriale i principi dell’amnistia e annunciando che l’università non fornirà i nomi degli studenti «clandestini» alle autorità federali.

Nello stesso spirito la giunta civica di Los Angeles la scorsa settimana  ha adottato la legalizzazione degli ambulanti (in gran parte clandestini) che operano nei quartieri ispanici della città. La motivazione è stata di mettere al riparo migliaia di immigranti da una possibile deportazione per partecipazione ad attività illecite. Ora sarà più difficile anche perché la polizia del città ha già  annunciato di non avere intenzione di collaborare col servizio immigrazione di Trump.