L’abolizione dell’Imu sulla prima casa? Un pasticcio gigantesco che ha distrutto uno dei principi cardine del federalismo fiscale: la corrispondenza tra contribuenti e soggetti beneficiari dei servizi resi. Vogliamo parlare del taglio dell’Irap? L’imposta sulle imprese su base regionale tagliata di 1,9 miliardi da Renzi per ridurre il «cuneo fiscale» ha avuto «riflessi negativi» sulle funzioni degli enti locali. Quanto al «bonus Irpef» degli 80 euro per i lavoratori dipendenti con redditi tra 8 e 26 mila euro è costato 4,5 miliardi di euro e ha «peggiorato il fabbisogno del settore pubblico».

La relazione sugli andamenti della finanza territoriale, resa nota il 27 luglio dalla Corte dei Conti, non è propriamente una lettura estiva, ma permette di comprendere i danni provocati dall’uso populista dei conti pubblici del governo Renzi. Senza contare che quella della magistratura contabile è la più seria requisitoria contro i tagli voluti dai governi dell’austerità dal Berlusconi del 2008 al Renzi della legge di stabilità del 2015.

Alla base non c’è solo la richiesta del rispetto delle funzione costituzionale nella gestione della spesa pubblica, regolarmente infranta da tutti i governi per rispettare i diktat della Troika, ma le gravi deformazioni provocate da una visione mercantilista dell’economia ispirata dal mantra della competitività, della riduzione dei costi e della compressione salariale.

Tutti elementi che hanno provocato un boom inaudito della tassazione, l’aumento del debito pubblico e il blocco della tanto agognata «competitività». L’austerità è un circolo vizioso, soprattutto senza una crescita capace di aumentare l’occupazione e investimenti mancanti.

I tagli agli enti locali dal 2008 a oggi ammontano a quasi 40 miliardi, risultato della riduzione dei trasferimenti statali di 22 miliardi e di un calo dei finanziamenti per la sanità di 17,5 miliardi. «Per conservare l’equilibrio in risposta alle severe misure correttive del governo» i Comuni – colpiti da tagli per quasi 8 miliardi tra il 2010 e il 2014 – hanno risposto con «aumenti molto accentuati» delle tasse locali.

Oggi il peso del fisco è «ai limiti della compatibilità con le capacità fiscali locali» denuncia la magistratura contabile. La tassazione comunale è infatti balzata dai 505,5 euro a testa del 2011 ai 618,4 euro dello scorso anno. Una pressione che tocca i livelli più alti nei Comuni con più di 250mila abitanti, arrivando a 881,94 euro pro capite.

Se i Comuni hanno risposto ai tagli con una revisione al rialzo delle aliquote Ici-Imu – gli «aumenti generalizzati hanno visto gli incassi passare dai 9,6 miliardi di euro del Ici 2011 ai 15,3 miliardi del 2014 – le Regioni hanno puntato sul taglio degli investimenti e dei servizi con «una compressione delle funzioni extra-sanitarie». Tra il 2009 e il 2015 il taglio al finanziamento del fabbisogno della sanità è stato del 17,5 miliardi.

La Corte dei conti descrive le politiche del rigore fiscale nei termini di un «meccanismo distorsivo» che impone agli enti locali di scaricare i tagli imposti dal l’Europa agli enti locali sul contribuente. L’equivalenza è nettissima: l’aumento delle tasse è dovuto ai tagli alle risorse statali dal 2011. A questo si aggiunge il ritardo nella «ricomposizione delle fonti di finanziamento della spesa» per garantire servizi pubblici efficienti ed economici. Questo significa aziende dei trasporti locali in deficit, come la privatizzazione delle municipalizzate.

E questo nonostante l’incremento consistente delle entrate (+15,63% rispetto al 2013). In altre parole, la crisi di aziende come l’Atac a Roma, di cui tanto si parla in questi giorni, non è solo dovuta all’inefficienza organizzativa, ma a un «baco» nel sistema dei trasferimenti delle risorse. La vendita di pacchetti azionari, o la privatizzazione dei servizi pubblici, sono l’ultimo step che può chiudere un cerchio.

«Serve un piano straordinario di contrasto alle povertà, una vera epidemia per tante zone del Paese, che comprenda più fondi e più servizi» sostiene Antonio Satta – componente del direttivo dell’Anci -In questi anni abbiamo garantito servizi, nonostante un Patto di stabilità che ci ha trasformati in notai più che in amministratori e politici».

Per chi vuole leggerle, queste pagine costituiscono un ammonimento sulle conseguenze dei tagli che verranno, quelli alla Sanità (2,3 miliardi nel 2016) e a quelli alle tasse sulla prima casa (45 miliardi) nei prossimi tre anni. È in arrivo un’altra imbarcata di aumenti delle tasse sui cittadini. La crisi fiscale viene prodotta dai governi. I tagli li pagano i cittadini che, in più, sono obbligati a rinunciare ai servizi, alle cure e ad un trasporto locale efficiente.

E Renzi che dice? Ieri ha assicurato che i soldi «sottratti» ai Comuni per l’abolizione della Tasi/Imu «saranno restituiti integralmente». Magie contabili della finanza creativa.