La guerra tra Georgia e Abkhazia (repubblica autonoma che si autoproclamò indipendente) nel 1992 sconvolse anche la vita degli abitanti estoni che proprio lì erano emigrati e avevano fondato dei villaggi nella seconda metà dell’Ottocento. Molti di loro fecero ritorno nella terra d’origine e solo in pochi decisero di rimanere.
Ivo è appunto un estone rimasto praticamente da solo. Lo vediamo tagliare la legna che gli serve per costruire cassette dove riporre i mandarini. La sua famiglia è scappata all’inizio della guerra. Il vecchio falegname viene interrotto nel suo lavoro e interrogato da due mercenari ceceni dall’aria minacciosa. Forse per non passare ulteriori guai, forse per la sua innata ospitalità, fa entrare i due uomini armati nel casale e gli offre da mangiare. Li guarda con un misto di fierezza e preoccupazione. Per lui è la guerra di nessuno, non comprende e non accetta le ragioni per cui degli uomini si debbano uccidere.

In quella zona rurale ormai priva di civili (forse sarebbe più opportuno scrivere di persone disarmate), accanto a Ivo c’è Margus impegnato a raccogliere i mandarini dagli alberi. Un’impresa utopica e, al tempo stesso, improba per un uomo che non ha più aiutanti. E nonostante tutto ci prova lo stesso, cercando di sbrigarsi prima che i combattimenti colpiscano anche quel villaggio. Con l’ultimo raccolto e il relativo guadagno Margus prenderà la strada del ritorno in Estonia.

Ma i primi sanguinosi scontri a fuoco non tardano ad arrivare, proprio davanti agli alberi di mandarino. Ivo e Margus non possono fare altro che seppellire i cadaveri e curare due sopravvissuti nemici, Ahmed, il mercenario ceceno musulmano, e Nika, il soldato georgiano cristiano che prima della guerra faceva l’attore di teatro.
Questa è la premessa di Tangerines – Mandarini (Mandariinid, nomination ai Golden Globe e agli Oscar per il miglior film straniero in rappresentanza dell’Estonia, nell’edizione in cui vinse il polacco Ida) del cinquantenne regista georgiano Zaza Urushadze, realizzato nel 2013 e ora nelle sale italiane grazie allo sforzo della P.F.A. Films di Pier Francesco Aiello.
Una storia semplice in un contesto tragicamente complesso dove solo in pochi riescono ancora a cogliere la differenza tra la vita e la morte.

Protagonisti sono quattro uomini per certi versi simili nel seguire le proprie convinzioni ma diversi nel difenderle: Margus e la folle idea di raccogliere mandarini in tempo di guerra; Ivo e la testarda coerenza nel voler rimanere nel luogo che ama e odia e che ormai considera suo; Ahmed e Nika irretiti nelle proprie posizioni che non possono avere altro esito se non la devastazione. Questi quattro personaggi si ritrovano però a convivere, a istituire e rispettare delle regole. Questa è la sfida posta da Zaza Urushadze: mostrare quanto il baricentro dei nostri convincimenti sia fragile e quanto un atto eticamente condivisibile possa trasformarsi in un’azione scellerata o viceversa. Voler difendere la propria terra può significare rivendicare il senso di una vita e le relazioni che sono nate proprio in quel luogo, ma può anche spingere a bruciare tutto quello che è intorno, a uccidere e spezzare ogni forma di condivisione.
Per paradosso, l’epilogo del film, che naturalmente non anticipiamo, non è poi così importante, se non ai fini di questa specifica storia. Che i nostri siano sopravvissuti o morti è un dettaglio in un mondo nel quale ogni luogo prima o poi sembra destinato alla distruzione e dove appare più redditizio e sensato costruire delle bare anziché delle cassette per mandarini.