«Siamo più bravi a lavorare che a farci conoscere, ma il nostro ufficio all’Ifad è all’avanguardia nei progetti di sviluppo basati sull’ascolto e sulla condivisione», dice al manifesto Antonella Cordone, responsabile per i popoli indigeni al Fondo internazionale per lo sviluppo agricolo (Ifad). Nella sede di via Paolo di Dono, a Roma, è attualmente in corso il secondo incontro mondiale del Forum delle popolazioni autoctone, che ieri ha concluso un importante partenariato con Slow Food, firmato da Carlo Petrini: «La nostra forza – dice ancora Cordone – sono le alleanze con tutte quelle organizzazioni che si muovono nella stessa direzione. A novembre è prevista Terra madre indigena, dove le comunità del cibo si incontreranno per farci conoscere i loro progetti, e prima se ne parlerà durante l’Expo».

Una delle critiche alla vetrina dell’Expo è però proprio quella di puntare sui lustrini e sugli sprechi, a scapito della territorialità vitale e virtuosa lontana dalle grandi tavole delle merci imbandite… «Di certo – afferma Cordone – dove c’è il lavoro di Carlo Petrini la presenza dei popoli indigeni sarà di sostanza». L’Ifad è un’istituzione finanziaria internazionale e un’agenzia specializzata delle Nazioni unite. Ha l’arduo mandato di «eliminare la povertà e la fame nelle aree rurali dei paesi in via di sviluppo». E’ presente in 173 paesi dei cinque continenti con lo scopo di «mettere le popolazioni rurali povere in condizione di raggiungere una maggior sicurezza alimentare, migliorare la qualità della loro alimentazione, ottenere redditi più alti e rafforzare le proprie capacità di adattamento».

Lunedì e martedì, dopo il Consiglio dei governatori, politici e leader delle organizzazioni degli agricoltori discuteranno con rappresentanti del settore privato, e parteciperà anche il ministro italiano dell’economia e delle finanze, Pier Carlo Padoan.

Come l’Ifad rileva, gli indigeni rappresentano solo il 5% della popolazione mondiale, eppure costituiscono il 15% dei poveri, ma negli ultimi anni – soprattutto in America latina – la loro tenacia ha reso attuale un riscatto lungo 500 anni. Come si riverbera questo nella vostra attività?
Sono contenta che lo consideri un tema attuale. Di solito si parla di tradizioni, musei e templi della memoria, invece è proprio l’opposto. Mai come in questo momento in cui viviamo diverse crisi nel mondo (economiche ambientali alimentari e sociali) i popoli indigeni ci forniscono esempio e risposta a molte di queste crisi. Per l’Ifad le loro tradizioni hanno un carattere di grande modernità perché offrono un approccio olistico che comprende tutte le dimensioni della vita. La loro modernità è quella di riuscire a tenere tutto insieme: perché si parla di cibo e non di merci, di animali e di piante, di quel che c’è sopra o sotto la terra, che è la Madre terra. C’è un detto indigeno molto bello: «Non possediamo la terra, ma la prendiamo in prestito dai nostri figli». Questo racchiude tutto il concetto di sostenibilità. Passare la terra alle giovani generazioni significa nutrirla e non sfinirla per ottenere il massimo profitto oggi, significa pensare a un modello di sviluppo basato su un diverso paradigma. Su questo li abbiamo ascoltati e abbiamo impostato i nostri progetti. Il Forum si riunisce ogni due anni ed emette raccomandazioni che vengono verificate in base a una piattaforma di dialogo costante.

In tante parti del Sud i popoli indigeni sono i primi a essere discriminati o uccisi. E si rivolgono all’Onu per chiedere sostegno, anche contro multinazionali italiane. Quale margine vi consente il vostro mandato per pesare sui decisori?
Lavoriamo con i governi, che chiedono prestiti per i progetti di sviluppo, la nostra sfida è quella di conciliare l’aumento della produttività di cibo che ci viene richiesto e mantenere sistemi di sostenibilità appoggiando questo dialogo approfondito con i popoli indigeni e cercando di mettere tutti intorno a un tavolo nonostante le diversità e i diversi sistemi di produzione: come nel Consiglio dei governatori di lunedì in cui, per un’ora e mezza si confrontano rappresentanti di 173 paesi su una piattaforma di base. Le raccomandazioni incidono se le rendiamo pragmatiche e misuriamo i risultati. Una delle raccomandazioni più importanti implica il diritto al previo consenso libero e informato su qualsiasi attività e progetto. Centrale è la sicurezza della terra, l’impatto sul territorio e la consultazione previa delle comunità in base alla convenzione 169 dell’Ilo, che diventa legge all’interno dei governi. Soprattutto di fronte al fenomeno del land grabbing.