Nel 2003, un inatteso interesse nei confronti della storia di un antico regno, noto solo agli specialisti, originò un intenso confronto nella regione del nordest del continente asiatico. I media e alcuni attivisti sudcoreani cominciarono a lanciare invettive al vetriolo contro la Cina a causa del tentativo di quest’ultima di includere Koguryo, uno degli antichi Tre Regni che occupò la parte settentrionale della penisola coreana e una parte significativa della Manciuria tra il I secolo a.C. e il VII secolo d.C., come parte integrante del suo retaggio storico. La richiesta di Pechino all’Unesco, nel dicembre 2003, di includere le famose tombe murarie di Koguryo scoperte nella provincia di Ji’an nella lista dei World Heritage Sites fece nascere in molti, in Corea, il sospetto che la Cina si stesse preparando a sostenere che Koguryo facesse geograficamente parte del proprio impero.

Il sospetto
Tale sospetto fu aggravato dal fatto che i ricercatori della Chinese Academy of Social Sciences, dopo anni di studi dei dipinti in questione, avevano concluso che Koguryo altro non fosse se non uno stato «cliente» della Cina. La reazione infuriata dei sudcoreani era relativa al fatto che nel caso una tale vicinanza fosse stata dimostrata, essi avrebbero rischiato di vedersi sottratta una importante fetta di storia del proprio paese. Oltretutto, in tal caso, l’influenza di Koguryo sugli stati e le culture vicine avrebbe immediatamente messo in dubbio l’identità culturale tanto dei coreani che dei giapponesi. Neanche su questa vicenda, tuttavia, i sudcoreani riuscirono a smuovere le coscienze dei nordcoreani, che rimasero pressoché silenti, probabilmente per non creare difficoltà all’importante alleato cinese.

La Corea del Nord, in ogni caso, non è mai stata passiva nella promozione di Koguryo e del suo retaggio: sin dagli anni ’70, i libri di testo nordcoreani hanno tenuto a dipingere l’antico regno come la dimora di un potente impero, che riuscì addirittura a soggiogare la gran parte dei suoi vicini in Manciuria e, presumibilmente, rappresentò una minaccia per l’integrità territoriale dell’antica Cina. L’esagerazione di Pyongyang, votata probabilmente a stimolare l’orgoglio nazionalistico e la superiorità etnica, nella definizione dei confini di quell’epoca andava oltre qualunque evidenza archeologica. È molto plausibile, comunque, che sia stata proprio la passione nordcoreana di riportare in auge la grandiosità imperiale del passato nazionale a causare la maggior parte dei problemi internazionali dell’inizio degli anni ’90. L’atteggiamento aggressivo della Corea del Nord nel raffigurare il passato nazionale dal punto di vista dell’ultra nazionalismo militante fu probabilmente la ragione principale che provocò l’assertiva risposta cinese. A ciò si accompagna l’inefficienza del sistema burocratico nordcoreano, l’endemica mancanza di fondi e la riluttanza a cooperare con studiosi stranieri.

Alla fine degli anni ’50, in Corea del Nord ci fu un netto spostamento d’asse sul tema della ricerca storica: si passò, infatti, da un approccio classista di tradizione marxista-leninista ad uno centrato sul leader e fortemente nazionalistico. A partire da quel momento, il rimodellamento della storia è divenuta una prassi consueta nella storiografia nordcoreana, visto che si è tentato di cucire il passato del paese addosso ad uno scenario ideologico in costante mutazione. Lo sviluppo della ricerca storica tra il 1956 e il 1967, inoltre, ha dovuto tenere conto dell’apparizione di una nuova tradizione basata sulla dottrina nazionalistica della juche, o, come spesso viene tradotta, l’«auto-sufficienza».

Aspirazioni
Al fine di soddisfare le loro aspirazioni nazionalistiche, i «regnanti» nordcoreani hanno insistito sul fatto che le prime manifestazioni storiche della Corea dovessero essere spinte indietro nella storia antica. Simultaneamente, agli storici nordcoreani veniva richiesto di enfatizzare la «superiorità tradizionale» dei regni più a settentrione della penisola, visto che ciò avrebbe dimostrato l’inferiorità storica delle regioni meridionali. Questo atteggiamento era necessario al fine di provare il diritto legittimo del Nord di unificare l’intera penisola sotto il vessillo del comunismo in salsa juche.

Dal ridotto numero di opinioni accademiche il Comitato Centrale del Partito Coreano dei lavoratori ne avrebbe scelta una e solo questa sarebbe divenuta l’ipotesi ufficiale, mentre tutte le altre sarebbero state scartate come antirivoluzionarie. Tale atteggiamento ha costretto, negli anni ’60, la ricerca storica nordcoreana a piombare in una sorta di medioevo. I circoli storici nordcoreani presero rapidamente a riscrivere la storia nazionale per assoggettarla ai principi del nazionalismo e dell’auto-sufficienza.

Remoti sospetti
Al fine di fugare persino i più remoti sospetti relativi ad un’occupazione straniera della penisola coreana, tutti gli artefatti cinesi rinvenuti nel territorio nordcoreano erano ritenuti «imitazioni» o, più semplicemente, non esistenti. A partire dalla metà degli anni ’60, non vi era alcuna tematica in ambito storico sulla Corea che non fosse stata rivista o corretta in accordo alle raccomandazioni dei membri della famiglia Kim; successivamente al 1967 qualunque dibattito di tipo storiografico in Corea del Nord venne bandito, la pubblicazione di riviste tematiche sospesa e gli studiosi trasformati in docili burocrati.

Nei decenni successivi nulla è cambiato. La versione nordcoreana della storia nazionale è stata disegnata al fine di veicolare la nozione in base alla quale i coreani hanno sempre goduto di una posizione di superiorità fisica e culturale che implica che la civiltà umana abbia avuto origine in Corea. Il continuum che lega la società primitiva a quella schiavista dell’antico Joseon, il feudalesimo a Koguryo e Koryo, lo sviluppo del capitalismo negli ultimi anni della Dinastia Yi attraverso la vittoria del «socialismo alla Coreana» in Corea del Nord, aiuta il regime a rivendicare la propria legittimità.

Presentando il suo passato nazionale dalla prospettiva della juche, gli storici nordcoreani mostrano la storia come un inesorabile processo ispirato da un desiderio popolare di auto-sufficienza nazionale e di lotta contro l’aggressore straniero.

Influenze
Nessuna influenza straniera è ammessa, mentre l’influenza della cultura coreana su quella delle nazioni vicine è enfatizzata in maniera particolare. Non è casuale che la questione relativa a Koguryo ha assunto una dimensione particolare nella scrittura della storia e nella ricostruzione del passato in Corea del Nord: i confini di quel regno, infatti, in periodi più tardi furono drammaticamente simili a quelli dell’attuale «regno eremita». La nozione in base alla quale Koguryo rappresentasse il più potente e avanzato tra i tre regni e, di conseguenza, fosse temuto dai vicini «stranieri» dell’epoca supporta l’ambizione della Corea del Nord per la leadership nell’unificazione nazionale. A partire dagli anni ’60, nella versione ufficiale nordcoreana, Koguryo viene descritto come un «contenitore» del vero spirito nazionale e raffigurato come un campione di «coreanità» ai danni di Silla, il blando regno pro-stranieri associato alla Corea del Sud attuale.

Gli storici nordcoreani impongono delle moderne letture politiche e culturali sulle genti e i luoghi del passato: Koguryo quindi rappresenta la Corea del Nord, Silla la Corea del Sud e i Tang gli Stati uniti.Questo atteggiamento politicizzato verso la ricerca storica, e in generale nei confronti del passato, se da una parte è dettato dall’ideologia nazionalistica della juche, crea numerosi attriti nelle relazioni con l’esterno e frustra qualunque possibilità di cooperazione accademica con altri paesi. Decenni di auto isolamento non sono stati, da questo punto di vista, assolutamente benefici. Come la questione di Koguryo dimostra, malgrado gli sforzi compiuti dagli storici nordcoreani di approfondire e glorificare il passato nazionale, la reale abilità di difendere le proprie posizioni è estremamente limitata.