Da quasi tre anni è fermo in parlamento un disegno di legge di iniziativa popolare che si propone di riformare il diritto di cittadinanza. Presentato nel marzo del 2012 da 19 organizzazioni, il testo giace in qualche cassetto della Camera insieme ad almeno altri 20 disegni di legge analoghi. Tutti fermi a prendere polvere nonostante le promesse, fatte dai vari governi, di arrivare al più presto a nuove norme che tutelino il diritto a diventare italiano di chi, figlio di un cittadino straniero, è nato nel nostro Paese. «Non capisco le resistenze presenti in parlamento», ha detto ieri la presidente della Camera Laura Boldrini. «La cittadinanza è il diritto ad avere diritti, la madre di tutte le questioni che riguardano l’inclusione. Chi ha interesse a non dare diritti a chi vive sul nostro territorio?». Domanda retorica, se non ingenua, alla quale si potrebbe rispondere con un lungo elenco di sigle di partiti o movimenti ostili alla sola idea di riconoscere come italiano il figlio di un immigrato.

Di riforma della cittadinanza si è parlato ieri alla Camera in un convegno intitolato «Un Paese diverso è possibile? A che punto è la riforma della legge sulla cittadinanza» promosso dalle organizzazioni – tra le quali Arci, Caritas, Cgil, Acli e Libera – che sostengono la campagna «L’Italia sono anch’io». Presente, oltre alla presidente Boldrini, anche Graziano Delrio, nel 2012 portavoce della stessa campagna e oggi sottosegretario al presidenza del consiglio, che ha assicurato l’impegno del governo ad arrivare a una riforma entro l’estate.

In realtà Delrio sa bene che difficilmente il dibattito sulla riforma della cittadinanza potrà avere un’accelerazione finché il progetto di riforme costituzionali del premier non sarà compiuto. Il che, visti i tempi previsti per l’approvazione delle leggi costituzionali, potrebbe richiedere attese più lunghe dell’estate. Ma è anche un po’ come dire che i diritti civili – riforma della cittadinanza ma anche legge sulle unioni civili – valgono meno della riforma del Senato o di una nuova legge elettorale escludendo che le cose possano marciare contemporaneamente.

E infatti è proprio quanto accaduto nei mesi passati. Una volta eletto segretario del Pd, Renzi assicurò che cittadinanza e unioni civili sarebbero state tra le prime leggi sulle quali il partito si sarebbe battuto. Promessa già caduta una volta al governo, tanto che la parola immigrazione non venne neanche nominata dal premier nel discorso di insediamento alla Camere. E il successivo tavolo aperto con il Ncd di Alfano è fermo da mesi. E dire che un accordo sarebbe anche possibile su uno ius soli temperato, dove la cittadinanza italiana verrebbe riconosciuta ai bambini con genitori in possesso di un regolare permesso di soggiorno o al termine di un ciclo scolastico (il cosiddetto ius culturae). Il problema sono i tempi, su quali Pd, Ncd e Fi non si mettono d’accordo. Il centrodestra chiede che uno dei due genitori sia regolare da ameno tre anni, ma non manca chi ne chiede addirittura cinque. E per quanto riguarda il ciclo scolastico la divisione è tra quanti ritengono sufficiente il completamento delle scuola materna o delle medie e chi invece intende la fine della scuola dell’obbligo. «Il presidente del consiglio non ha inteso frenare sull’approvazione della legge», ha assicurato Delrio. «Ha cercato di dire che la riforma va fatta e che, come tutte le riforme di sistema, sarebbe molto utile avere in parlamento un’ampia convergenza».

In attesa della convergenza, tutte resta fermo. Al punto che i promotori della campagna «L’Italia sono anch’io» cominciano a temere possibili accordi al ribasso. «Non possiamo accettare che si vada verso mediazioni imposte del Ncd e dalle tante correnti di Forza Italia», avverte ad esempio il vicepresidente dell’Arci Filippo Miraglia. «Se lo ius culturae diventa una condizione esclusiva, significa scaricare sui bambini tutta la responsabilità sull’avere o meno la cittadinanza. Per noi se uno dei genitori è in possesso di un regolare permesso di lavoro da almeno un anno, suo figlio ha tutto il diritto di diventare cittadino italiano».